Fassino: «Scissione ipotesi velleitaria. Se vince il No il Pd implode»

Fassino: «Scissione ipotesi velleitaria. Se vince il No il Pd implode»
di Nino Bertoloni Meli
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Mercoledì 12 Ottobre 2016, 00:01
Non mi rassegno a una inevitabile rottura. E penso che da parte di tutti dev’esserci un sussulto di responsabilità. E’ in gioco il Pd. E siccome il Pd è il principale partito italiano, in gioco c’è il destino del Paese». Parola di Piero Fassino, ultimo segretario dei Ds che traghettò nel Pd.

Si è parlato di “lodo Fassino”. In che consiste?
«E’ un patto chiaro. Renzi, come dichiarato, è pronto a modificare la legge elettorale per il Senato e l’Italicum. In cambio di questo impegno assunto davanti alla direzione, con migliaia di persone che lo hanno sentito in diretta streaming, la minoranza lasci cadere il No alla riforma costituzionale. Battiamoci tutti insieme per vincere il referendum, anche perché un successo del Sì renderà più certo il percorso di cambiamento della legge elettorale».

Fassino, ma Renzi l’ha fatta questa apertura alla minoranza o è stata solo tattica?
«Da parte di Renzi è venuta un’apertura significativa. In due punti: ha proposto che il futuro Senato delle autonomie venga eletto direttamente e non indirettamente, secondo il ddl Chiti-Fornaro; sull’Italicum, c’è la disponibilità a rivedere sia la forma di elezione dei capilista, sia a discutere del premio. Di più, il segretario ha proposto che parta subito un confronto con le altre forze politiche affidando la gestione a un comitato con tutte le anime del Pd. Penso che ragione e buon senso vorrebbero che non si lasci cadere questa disponibilità».

Il tutto prima o dopo il referendum?
«Il percorso proposto da Renzi può partire subito. Ragione e buon senso vogliono anche che si sappia, però, che una conclusione positiva su nuovo Senato e nuova legge elettorale potrà avvenire solo dopo il referendum. E non perché Renzi non lo voglia prima, ma perché le altre forze politiche hanno tutte detto che prima non sono disponibili».

Il No è fuori linea, non va bene, non è legittimo?
«Non è questione di legittimità. Se andiamo al merito, gli argomenti sono traballanti visti proprio da sinistra. La riforma prevede quattro innovazioni, tutte inscritte nella storia della sinistra. Primo: il bicameralismo paritario da superare è presente a chiare lettere nel programma dell’Ulivo; il superamento delle Province era addirittura nel documento programmatico del governo di solidarietà nazionale; sul Cnel è inutile tornare, tutti d’accordo; sulla revisione dei rapporti tra Stato e Regioni, il Titolo V, sono i nostri governatori che da tempo lo chiedono. Aggiungo: si introduce il referendum propositivo, oltre all’abrogativo; c’è lo statuto delle opposizioni in Parlamento, altra proposta della sinistra da tempo. E non c’è alcun ampliamento dei poteri del presidente del Consiglio, mentre si alza il quorum per eleggere il capo dello Stato al 60 per cento, cioè nessuna maggioranza di governo da sola potrà farlo».

Il tormentone riguarda il cosiddetto “combinato disposto” tra riforma e legge elettorale.
«Lo so. Ma ricordo che dal ‘93 tutte le leggi elettorali sono state riscritte in senso maggioritario e con un effetto ben più alto previsto dall’Italicum. Faccio due esempi: la legge dei sindaci prevede che chi vince dispone del 60 per cento dei seggi, qualsiasi percentuale abbia preso al primo turno; l’attuale legge, il famigerato Porcellum, consente all’attuale centro-sinistra di disporre di 340 seggi avendo preso il 25 per cento il Pd e, con Sel, poco più del 29. Con l’Italicum, adesso, è prevista una soglia alta per avere il premio, il 40 per cento, se no si va al ballottaggio».

Già, il ballottaggio: un altro tormentone. Va tolto?
«Sono per mantenerlo, ma per strutturarlo diversamente. Si potrebbe fare come in Francia, permettendo di accedere al secondo turno non solo ai primi due, ma a tutti quelli che superano una certa soglia (in Francia è il 12,5 per cento), una modifica che impedirebbe alleanze spurie o la coalizione a dispetto. Ma perché tutto possa andare in porto, è chiaro che ci vuole un esito positivo del referendum, la vittoria del Si».

E se invece vincesse il No?
«Andremmo alla paralisi. Implode il Pd e rischia di implodere il Paese. Ricordo che si va verso un periodo cruciale per le sorti politiche dei maggiori Paesi occidentali: oltre al referendum in Italia, ci saranno le elezioni negli Usa, quelle olandesi, le presidenziali francesi, il voto in Germania, forse in Spagna visto che non si trova ancora intesa. I rischi sono tanti, non possiamo vanificare tutti gli sforzi».

Si dice e si sente dire che il vero obiettivo del No è far cadere Renzi.
«Non voglio fare processi alle intenzioni. Ma se qualcuno pensa di usare il referendum per far saltare il banco, deve sapere quali sono le conseguenze».

E quali sarebbero le conseguenze?
«Non è che poi si fa un altro governo come se niente fosse e tutto ricomincia da lì. Bisognerà fare una nuova legge elettorale che non potrà che essere proporzionale, con tutte le conseguenze che questo comporta. E poi manderemmo in Europa un messaggio del tipo “l’Italia è irriformabile”, non crede neanche alle proprie riforme».

Perché è così negativo un ritorno al proporzionale?
«E’ del tutto legittimo proporlo, ma senza dimenticare che con il proporzionale si cambiava un governo all’anno. I governi di coalizione saranno obbligatori, visto che il proporzionale permette la rappresentanza ma non assicura la maggioranza. Vedo in questo una contraddizione nei sostenitori del No: ogni volta che i voti di Alfano o Verdini sono indispensabili, gridano allo scandalo, ma quando c’è una legge elettorale che eviterebbe alleanze spurie, non va bene neanche questa. A meno che si pensi che l’unica prospettiva per l’Italia siano i governi di larghe intese a vita».

E di D’Alema fautore del No, che dice?
«La Bicamerale cambiava molti più articoli della Costituzione che non questa riforma. Non capisco l’accusa di stravolgere la Costituzione, men che meno il rischio di deriva plebiscitaria».

Rischi di scissione nel Pd?
«Non vedo prospettive di costruire altri partiti o partitini a sinistra. E’ tutto velleitario. L’idea di dar vita a nuovi partiti oggi non ha mercato, oltre a irritare i militanti che non vogliono lotte interne ma chiedono di indirizzare gli sforzi contro i veri avversari, la destra e il populismo. Scissioni e nuovi partiti appartengono a un altro tempo della politica».

 
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