L’anomalia europea: ormai tre i governi senza maggioranzaInghilterra, Olanda e Spagna: acrobazie sul filo dei numeri

L’anomalia europea: ormai tre i governi senza maggioranzaInghilterra, Olanda e Spagna: acrobazie sul filo dei numeri
di Mario Ajello
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Sabato 8 Luglio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 9 Luglio, 18:26
ROMA L’Europa ormai, almeno in parte, ma le parti sono del calibro della Spagna, dell’Inghilterra, dell’Olanda, può essere letta come un manuale di sopravvivenza di governi gracili e di maggioranze risicate o che addirittura sono minoranze che vanno avanti pescando qualche voto in più di qua e di là. Un’anomalia che sarebbe stata impensabile in altri tempi e che sconvolge tutti gli schemi classici. Risultato? Quante acrobazie parlamentari sul filo dei numeri, nell’era della liquidità post-bipolarismo e della turbo-frammentazione, vanno in scena per esempio nelle Cortes. Il governo spagnolo di Mariano Rajoy, il vincitore che non ha vinto alle ultime elezioni lì dove al dualismo popolari-socialisti s’è sostituito un quadripartitismo con Podemos e i Ciudadanos (più i gruppi locali), si regge spesso in Parlamento su un unico voto di maggioranza, preso in prestito dal deputato delle Canarie. 
LA DANZA
Si balla in Spagna, ogni giorno e su tutto, visto che il primo partito, i popolari, hanno 42 seggi in meno di quelli che gli servirebbero per essere maggioranza. E si balla in Inghilterra dove Theresa May ha una debole forza di soli 14 voti - nell’isola che ha rappresentato per secoli la rocciosità del sistema bipartitico abituato a ragionare da potenza a potenza e ora le tocca la fatica delle sommatorie - e si regge sull’appoggio del partito unionista democratico d’Irlanda. Dal quale la premier ha ottenuto il sostegno, in cambio di un miliardo di sterline di finanziamenti all’Ulster. In questo caso, un gracile governo si trova a gestire annaspando problemi enormi quali la Brexit, con per di più le divisioni interne (Boris Johnson contro la May) sull’addio a Bruxelles. Ma non eravamo abituati a pensare che, per grandi problemi, servissero grandi governi? Macché: è cambiato tutto con la rischiosa anomalia di questi piccoli vascelli governativi che si trovano a dover fronteggiare il maremoto della modernità rispetto al quale sono sproporzionati. Il Portogallo, a sua volta, ha un governo, un monocolore socialista, che è costretto ad appoggiarsi ad altri gruppi (di sinistra) nella ricerca delle soluzioni. Riuscendo quasi rocambolescamente a ridurre il deficit pubblico, mentre la disoccupazione è scesa al 10,5 per cento. Anche guardando i dati macroeconomici piuttosto positivi della Spagna, parrebbe in crisi l’assioma secondo cui non c’è crescita senza stabilità. Un mito che sembra non reggere più. E comunque, 4 mesi dopo le ultime elezioni l’Olanda non riesce ancora a darsi un nuovo esecutivo - si rischia di superare il record del 1977 quando furono necessari 207 giorni per trovare un accordo - e si va avanti con quello che c’era prima. Una situazione, questa ma anche le altre, piuttosto paradossale. Osserva Ettore Siniscalchi, uno dei massimi studiosi della Spagna contemporanea e titolare di un blog assai seguito: «Il governo di minoranza o senza chiara maggioranza è l’unico, in un Paese diviso in tre blocchi come l’Italia o in quattro blocchi come la Spagna, che consente una fluidità maggiore del gioco parlamentare rispetto ad altri governi che, fintamente maggioritari, sono in realtà bloccati da veti reciproci». 
LA CALMA
Occorre andarci molto piano, però, con il nuovo totem della debolezza che fa la forza e della precarietà che, se vissuta con stoicismo, può dare i suoi frutti. Senza governi forti, infatti, si può andare vicino ma non si va lontano. E possono procedere, un po’, soltanto quei Paesi che si sono dotati di regole parlamentari funzionanti e favorevoli agli esecutivi e soprattutto quei Paesi che vantano classi dirigenti ben sperimentate e strutturate dal punto di vista organizzativo. Si tratta di condizioni che consentono di reggere ma poi, per darsi una strategia vera di lungo periodo, non si potrà prescindere dalla mano di un governo solido e di una guida ferma che indichi la direzione. 
Quel che è evidente però - e il modello Repubblica di Weimar non c’entra proprio - è che una democrazia può funzionare anche sul filo dei numeri e su una stabilità non rocciosa fatta di compromessi e di dialogo. Viene alla mente, a questo proposito, la «Morte di Danton». In quel testo stupendo di Georg Buchner, ora riportato in teatro da Mario Martone, il protagonista a un certo punto prende in giro i giacobini dicendo: «Hanno proclamato che la virtù è all’ordine del giorno». Ed è un po’ come si è fatto da noi, per vent’anni, proclamando che il bipolarismo era all’ordine del giorno. Ma intanto la realtà, con tutti i suoi limiti, ormai sta cambiando un po’ ovunque. 
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