Radiografia del voto, domande & risposte

Radiografia del voto, domande & risposte
di Simone Canettieri
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Martedì 7 Giugno 2016, 00:33 - Ultimo aggiornamento: 09:15

ROMA Il terremoto grillino, lo choc di Forza Italia, la zampata della Meloni, nonostante la Lega non sfondi. E poi il Pd che arretra fino a toccare quote da incubo, intorno all’11% in alcune periferie. La foto del primo turno delle elezioni di Roma consegna un quadro nuovo che rischi di avere ripercussioni su scala nazionale. Innanzitutto, nella Capitale c’è stata l’affermazione di un tripartitismo (dem-M5S-destra lepenista) che non contempla più sacche di consenso moderate importanti. E l’alba di un nuovo scenario come accadde nel 1993 proprio con le elezioni per il Campidoglio? Di sicuro le elezioni amministrative romane sono state le più politiche con tutti i leader mobilitati: da Renzi a Berlusconi, da Meloni a Salvini. Discorso diverso per il M5S, che questa volta ha sostenuto l’esame di maturità, orfano di Casaleggio e con Grillo in versione passo di lato. Contano i profili di queste elezioni municipali, che poi si sposano con il contesto geo-sociale. A Milano il testa a testa tra i manager Giuseppe Sala e Stefano Parisi (sostenuto da tutto il centrodestra, coalizione nella quale si gioca una durissima partita per la leadership nazionale) riportano a uno schema che non contempla populismi (né del M5S né della Lega, in coalizione con il manager Fastweb, ma doppiata da FI). Napoli si conferma il «baco» del Pd, con De Magistris in grado di intercettare anche l’onda grillina. Torino è un’altra sfida aperta: dove un Pd che viene da lontano, quello di Fassino, se la vede con il grillismo gentile di Claudia Appendino. La donna che, insieme a Virginia Raggi, potrebbe essere la vera sorpresa di queste elezioni.
 
Perché il boom M5S a Roma e a Torino?
Innanzitutto due donne. E profili che si sovrappongono: professionali («Noi abbiamo un lavoro») e poco movimentisti. Nella Capitale, Virginia Raggi ha trovato davanti a sé una prateria: Pd a pezzi tra Mafia Capitale e l’epilogo violento della giunta Marino. Inoltre, Giachetti ha accentuato il fronte anti-renziano, essendo considerato diretta emanazione del premier. 
Discorso più complesso per Chiara Appendino. La bocconiana, come la collega romana, si è trovata a giocare una partita con il centrodestra diviso, ma con un sindaco Pd uscente (Piero Fassino) in salute e simbolo di una tradizione di sinistra riformista ampia (la cosa rossa di Airaudo si è fermata al 3,7%). Appendino non ha spaventato la borghesia sotto la Mole, Raggi ha condotto una campagna di rottura, stravagante e mediatica e ha fatto il pieno nei quartieri della rabbia. 

A cosa si devono le difficoltà Pd?
La Terra di mezzo della crisi Pd, giusto per rimanere in tema, è molto ampia, e parte da lontano. Prima gli arresti che hanno terremotato il Campidoglio, poi il commissariamento del Pd romano affidato a Matteo Orfini, che fin dall’inizio ha poco tutelato la parte sana, residuale certo, dei dem facendo un unico calderone.
L’operazione di pulizia è andata avanti di pari passo con l’appoggio incondizionato alla giunta Marino, considerato da Orfini il «baluardo contro la mafia». Quando è crollata la fiducia nel chirurgo dem, il Nazareno ha scelto la strada più dolorosa: le dimissioni dei consiglieri. Marino è passato da martire. In mezzo le primarie per il sindaco poco partecipate e l’affluenza gonfiata. Quale peggior presagio? Il resto lo hanno detto le urne: a Roma il Pd non parla più ai ceti popolari. Preferisce l’apericena.

Perché la frenata di FI e Marchini?
La strana coppia non ha funzionato: l’abbraccio è stato letale per entrambi. Berlusconi ha provato il ruggito del vecchio leone cercando di mandare a «sbattere i due ragazzotti», Salvini e Meloni, con una virata moderata e civica su Marchini, che non è stata capita dal popolo azzurro. Che a Roma, dove tutto iniziò nel ‘93 con le elezioni Fini-Rutelli, è ridotto a un cespuglio, una specie protetta: un 4% che catapulta i berlusconiani sotto la sinistra radicale. Il modello è quello della ridotta indiana.
Discorso speculare per Marchini. Il candidato «libero dai partiti» forte di un cognome di sinistra e abile 3 anni fa a giocare tra le linee del civismo, è finito per essere identificato con Berlusconi.

Come mai Meloni ha preso più di FdI?
Giorgia Meloni ha saputo conquistare il 12,8 per cento di voti in più della coalizione. Significa che in 34.122 (sul totale di 265.736 di voti presi) hanno messo una croce sul suo nome, come candidato sindaco, senza scegliere nessuna delle liste che la sostenevano.
L’ex ministro della Gioventù è stata abile nel fare fruttare la sua popolarità, che va oltre gli steccati del suo partito, Fratelli d’Italia. Ha impostato una campagna elettorale con messaggi molto diretti, più collegati a problemi della città - dalla sicurezza ai nomadi - senza attardarsi nella palude ideologica che avrebbe potuto allontanare un elettorato non militante. In questo modo ha raccolto consensi nelle periferie, tra i ceti popolari. dove invece il centro sinistra ha stentato. Infine, il crollo di Forza Italia le ha consentito di cannibalizzare quello che un tempo era un partito alleato.

Come si spiega l’affluenza che sale?
A Roma le urne sono ritornate di moda? Sì e no. L’affluenza questa volta ha superato quella del 2013 di ben 5 punti percentuali (dal 52% al 57%) e si è messa quasi in scia con il dato nazionale. In verità, appunto, l’astensione meno alta del solito ricolloca la Capitale su stime quasi normali rispetto al Paese, la rarità si registrò appunto con l’elezione di Marino. Di sicuro, però, il colpo di coda inatteso dell’affluenza ha dato una mano ai grillini e in piccola parte a Giorgia Meloni.
Chi si aspettava un disamore dalle elezioni è stato in parte contraddetto: la rabbia ha gonfiato le urne. Esempio emblematico nel municipio X, quello di Ostia sciolto per mafia, dove nonostante tutto si sono presentati all’appuntamento con il voto il 56% degli aventi diritto. Qui il M5S ha toccato il 44%.

Ai ballottaggi che può succedere?
Le sfide aperte e molto in bilico sono al Nord: Milano e Torino. Sala e Parisi, dai profili così simili, chiederanno ai rispettivi sponsor, Renzi e Berlusconi, di fare un passo indietro per avere così quindici giorni di campagna elettorale molto milanesi, fattore che gioca a favore di mister Expo. A Torino, Fassino teme l’ “effetto Parma” al ballottaggio, con i grillini in versione calamita di tutti gli partiti altri rimasti fuori. Sarebbe la prima volta a Torino.
Se a Bologna è complicato un Guazzaloca bis, e quindi Merola può stare relativamente tranquillo, a Napoli De Magistris è pronto a un altro mandato da viceré. Ma la vera partita si gioca a Roma: a Giachetti serve un miracolo per ribaltare il tavolo, convincere i grillini del primo turno prendere i voti a destra e a sinistra. «Ma io sono laico», ha detto Bobo. 



 
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