Dal Casanova Gronchi al Comandante Fausto

Dal Casanova Gronchi al Comandante Fausto
di Mario Ajello
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Venerdì 23 Marzo 2018, 00:58 - Ultimo aggiornamento: 01:22
Che onore poter dire: «Sono diventato presidente della Camera!». Ma c’è anche il rovescio della medaglia: perché quello non è un posto, almeno nella Seconda Repubblica, che abbia portato fortuna a chi lo ha ricoperto. Anche se pure i presidenti del Senato - per esempio Carlo Scognamiglio nel 1994 o adesso Piero Grasso - appena finito l’incarico si sono avviati uno alla sparizione dalle scene politiche e l’altro a un destino da peone, rientrato in Parlamento per il rotto della cuffia.

Così come accaduto alla sua ex pari grado di Montecitorio, «la presidenta» Boldrini. Con poche eccezioni (Luciano Violante, Pier Ferdinando Casini), fare il numero uno di Montecitorio s’è rivelata negli ultimi decenni una maledizione. 

La parabola di Gianfranco Fini si concluse con il «che fai mi cacci?» (rivolto a Berlusconi e relativo al Pdl). Futuro & Libertà, lo sfortunato partitello che fondò in odio al berlusconismo non gli ha dato un futuro e neppure la libertà visto che è caduto nel clan Tulliani. E come dimenticare Irene Pivetti che passò dall’autorevolissimo scranno al trash-show intitolato «Bisturi, nessuno è perfetto», programma tivvù dove i concorrenti si sottoponevano a interventi di chirurgia estetica? 

IL TRAMPOLINO
Ben diversa sorte è valsa ai tempi della Dc e del Pci. Il primo presidente della Camera, nel ‘48, fu Giovanni Gronchi - cattolico tombeur de femmes e a chi glielo faceva notare rispondeva: «Sono democristiano dalla cintola in su» - e fu anche il primo che da quel trampolino finì alla presidenza della Repubblica.

E’ stato così anche per Giovanni Leone, per Sandro Pertini (al Colle non brillò, «un brav’uomo folcloristico e pittoresco», lo definì Indro Montanelli), per Oscar Luigi Scalfaro (ripetizione: al Colle non brillò), per Giorgio Napolitano.

E in tempi lontani, l’ascesa del comunista Pietro Ingrao al vertice di Montecitorio ebbe un ruolo nel far partire un governo a guida Dc concertato con il Pci. Dunque, l’intreccio tra assegnazione di quella carica e destino del governo in questo caso risultò effettiva. Ma per le altre due presidenze ricoperte da esponenti di sinistra, Nilde Iotti che ricoprì quel ruolo per 13 anni, dal 1979 al 1992 e Napolitano, è mancato il nesso con il governo, visto che il loro partito restò all’opposizione durante il loro mandato. 

Una caratteristica forte: i presidenti della Camera cominciano a tradire la propria parte politica, per rilanciarsi nel dopo (cioé nel flop), qualche mese prima che la legislatura finisca. Esempio di scuola: Fausto Bertinotti. Fu usato dagli ulivisti per soffiare il posto a D’Alema. Ma poi il subcomandante Fausto, mentre il prodismo declinava, avrebbe ricompensato i suoi benefattori dicendo che Prodi «è il maggior poeta italiano morente» e il suo governo un insipido «brodino caldo». Manovra di smarcamento, insomma, poi quell’esecutivo finì come finì (malissimo) ma Bertinotti, oltre che nelle feste da party-giano, non ha più avuto un ruolo di rilievo. 

La Pivetti, si diceva. Diventata a 31 anni la più giovane presidente della Camera della storia italiana, finì lassù anche perché la Lega dovette rinunciare alla presidenza del Senato. In quanto Bossi voleva metterci Francesco Speroni e Berlusconi si oppose: «Non possiamo eleggere seconda carica dello Stato uno che va in giro con quelle giacche da film western!».

Perfino Eugenio Scalfari s’innamorò della Pivetti. La quale pareva all’inizio di una folgorante carriera politica (chi la paragonava a Giovanna d’Arco, chi a Margaret Thatcher), però la legislatura durerà due anni e nel 2006 l’Irene venne espulsa dalla Lega perché contraria alla secessione della Padania. Si riciclò con Mastella, restò in Parlamento fino al 2001, e poi si sarebbe trasformata da madrina della patria in spalla di Platinette. 
Dunque, frenare gli entusiasmi in queste ore. Perché il raggiungimento della presidenza della Camera (assai più che quella del Senato) può sembrare per chi ha vinto l’alba del mondo nuovo ma può preludere anche a un tramonto. 
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