Cucchi, il presidente d'appello: qualcuno l’ha pestato, purtroppo non sappiamo chi è

Cucchi, il presidente d'appello: qualcuno l’ha pestato, purtroppo non sappiamo chi è
di Sara Menafra
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Domenica 2 Novembre 2014, 00:34 - Ultimo aggiornamento: 01:08
«Tutte le volte che un processo si chiude con un’assoluzione, le vittime provano un senso di amarezza perché ritengono che non sia stata fatta giustizia. Ma io, come cittadino, mi sento più tranquillo a sapere che nel dubbio dell’insufficienza di prove, i magistrati hanno scelto di assolvere». Il presidente della Corte d’Appello di Roma, Luciano Panzani, proprio non vuole accettare le polemiche seguite alla sentenza sulla morte di Stefano Cucchi. Almeno non per quello che riguarda il collegio del suo tribunale che ha deciso di assolvere tutti gli imputati per insufficienza di prove. A Roma da pochi mesi dopo una lunga carriera a Torino, ieri mattina, letti i giornali, ha deciso che era giusto dire la sua.



Presidente, le polemiche sono state molte. Ma un’assoluzione così ampia per insufficienza di prove è davvero normale?

«Capisco il senso di amarezza delle vittime, è un sentimento comprensibile. So bene che Cucchi non si è ucciso da solo, ma non è per questo che si possono condannare delle persone se non è stata raggiunta la prova».



Stefano Cucchi è entrato sotto la custodia dello Stato sulle sue gambe e ne è uscito morto, passando anche nelle aule del tribunale. Non è possibile che nel giudicare i magistrati abbiano avuto un’accortezza in più?

«E’ chiaro che se Cucchi ha avuto delle fratture non se le è certo procurate da solo e che è stato picchiato. Ma non siamo in grado di dire cosa sia accaduto. E faccio notare che la corte di assise che ha giudicato sul caso è composta in maggioranza da cittadini comuni. Se c’è un caso in cui la giustizia è davvero espressa in nome del popolo è proprio quando a decidere è una corte di assise. Ma per condannare ci vogliono le prove e se un giudice ritiene che la prova non è stata raggiunta oltre ogni ragionevole dubbio deve assolvere. Nessuna gogna mediatica, se non vogliamo perdere più di quanto abbiamo già perso».



Potrebbe esserci qualcosa di sbagliato nell’impostazione dell’inchiesta?

«Non lo so, non voglio entrare nel caso concreto che sarà analizzato ancora in Cassazione. Credo però che il nostro sforzo debba ora essere evitare che ci siano altri casi come quello di Stefano Cucchi. Ogni parte dello Stato deve portare il proprio contributo affinché non ci sia più la possibilità che qualcosa vada storto nella detenzione di un cittadino».



Ci spieghi meglio come.

«Per esperienza ritengo che quando si verificano delle anomalie, come nel caso estremo di un detenuto che muore, o le procedure non sono state sufficientemente determinate o ci sono state deviazioni dalle regole fissate. Come magistrato mi auguro che le procedure siano modificate nel segno della totale trasparenza di ogni passaggio nel corso della detenzione. Anche se devo dire, più in generale, che tutti i tagli che sono stati fatti in passato nella sanità, nella giustizia e tra le forze dell’ordine non aiutano la tutela del cittadino. Il sistema è molto provato».



Dunque una sentenza giusta?

«Come cittadini dobbiamo essere soddisfatti. Sarebbe peggio una condanna che va incontro alle esigenze dell’opinione pubblica e delle vittime. In dubbio pro reo è un principio cardine».



Ha parlato con il collega D’Andria, il presidente del collegio che ha emesso la sentenza?

«No e in ogni caso non credo che la cosa debba essere oggetto di interesse mediatico. Il collega D’Andria come tutti noi sa bene che una sentenza emessa non è più nella disponibilità del giudice ed è abituato a distaccarsene».