Intervista a Cristina Comencini: «Il mio Latin Lover visto dalle donne»

Intervista a Cristina Comencini: «Il mio Latin Lover visto dalle donne»
di Gloria Satta
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Lunedì 16 Marzo 2015, 23:01 - Ultimo aggiornamento: 20 Marzo, 00:15
Un applauso commosso accoglie già all’anteprima stampa l’ultima interpretazione di Virna Lisi in Latin Lover, il film di Cristina Comencini atteso nelle sale il 19 marzo con 01. Anche Corrado Pesci, il figlio della grande attrice scomparsa nel dicembre scorso, appare scosso: «Scusate, rischio di mettermi a piangere», spiega lasciando la sala.



In Latin Lover, Virna è l’irresistibile matriarca di una turbolenta famiglia allargata di donne (mogli, figlie, nipoti, generi) che tra ricordi, insicurezze e colpi di scena si riuniscono per commemorare il decennale della morte del capostipite, un famoso attore degli anni Sessanta (Francesco Scianna) bravissimo nel collezionare amori e discendenti con felice incoscienza.



Cristina Comencini, 58 anni insospettabili, tre figli e sei nipoti, rara figura nel panorama intellettuale italiano in grado di alternare cinema, teatro e letteratura, racconta il film. Forse il più vicino, tra quelli da lei girati, alla sua esperienza personale di erede della grande tradizione cinematografica incarnata dal padre Luigi. La regista comincia proprio da Virna, protagonista di una scena indimenticabile in cui appare ubriaca.



Durante le riprese sapeva di essere malata?

«No, lo ha scoperto un mese dopo. Mi manca moltissimo, era una magnifica professionista e una lavoratrice infaticabile. Dopo quattro film insieme avevamo sviluppato un’intesa profonda, da donna a donna. Virna si legava a poche persone, ma quando apriva il suo cuore era generosa e fedele. Ho pianto tanto quando se n’è andata, ma ho pensato che avesse raggiunto l’adorato marito».



Come definirebbe Latin Lover?

«Una commedia sul padre: quello protagonista del film è un divo di fama mondiale, ma tutti i padri rappresentano un mito per le figlie. La storia che ho scritto con mia figlia Giulia Calenda ruota intorno a questa figura. E alla necessità di liberarsene per emanciparsi».



Anche lei ha avvertito questa necessità?

«Papà era l’antitesi del mio Latin Lover: schivo, rigoroso, tutt’altro che narcisista. E voleva assolutamente che noi quattro figlie ci realizzassimo. Non ho mai sentito il peso del confronto con lui. Ma è pur vero che la letteratura è l’ambito in cui mi sento più libera di esprimermi».



Il suo film è un inno al grande cinema di una volta...

«Sì, perché era improntato alla leggerezza, popolato di tanti personaggi diversi e capace di spaziare dalla commedia al western, alla denuncia. A quel cinema di ieri non guardo con malinconia ma con la consapevolezza che ci ha aperto la strada. Ha permesso ai registi della mia generazione di raccontare la nostra epoca».



Ci vuole una regista, invece, per raccontare una storia al femminile?

«Non sono pochi i cineasti maschi che sanno accostarsi al nostro universo, ma essere donna mi ha aiutato a entrare nel profondo. In più riconoscendomi in certe dinamiche familiari che nel film appaiono tragicomiche».



Si occupa ancora del movimento femminista ”Se non ora quando” che ha contribuito a fondare?

«Il movimento si è parcellizzato in tante iniziative locali, com’era naturale che fosse, ed è pronto a essere rilevato dalle giovani generazioni».



Qual è oggi la priorità della battaglia di genere?

«La maternità, un tema purtroppo lasciato indietro. La denatalità è ormai un’emergenza e bisogna mettere le giovani donne in condizione di fare figli senza che questo fatto naturale rappresenti un handicap o un sacrificio. Essere madri è la nostra potenzialità e per affermarlo l’Europa e l’Italia possono fare molto».



Com’è stato lavorare con sua figlia Giulia?

«Non era la prima volta e ho scritto sceneggiature anche con mio padre. Con lei mi viene tutto molto naturale perché amo confrontarmi con i giovani. Mentre scriviamo un film ci dimentichiamo di essere madre e figlia».
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