Ma ormai è praticamente certo: se anche il prossimo anno l’Italia dovesse scoprirsi in recessione, Renzi forzerà la mano, lancerà la sua sfida a Bruxelles e alla cancelliera Angela Merkel e aprirà i cordoni della borsa pubblica investendo decine di miliardi in infrastrutture, agenda digitale, innovazione, formazione, scuola, ricerca, ecc.
LO SPETTRO DELLA TROIKA
«Tutte spese ”buone” capaci di generare crescita», dicono a palazzo Chigi. Ma c’è un problema non da poco: a meno di una conversione di massa dei falchi del rigore o di un cambio degli equilibri nelle cancellerie europee, nel 2016 scatterà una procedura d’infrazione contro l’Italia. Con il rischio che a Roma si trasferisca la famigerata troika di Bce, Fmi e Commissione che imporrà le misure con cui contenere il deficit.
Eppure, Renzi appare determinato a forzare la mano in caso di stagnazione. L’ha fatto capire chiaramente durante la conferenza stampa di fine anno: «Nel 2014 ci siamo accontentati della parole, nel 2015 devono arrivare i fatti. La situazione è drammatica e serve un grande cambiamento in Europa, oppure interi Paesi finiranno in mano agli euroscettici. L’Italia non può ripartire senza riforme strutturali, ma le riforme non bastano. Bisogna cambiare paradigma a livello europeo. Mentre gli Stati Uniti, che hanno fatto leva sugli investimenti pubblici crescono del 5%, l’Europa è in grande difficoltà, è in stagnazione».
Il premier si dice convinto di riuscire a convincere gli alleati: «Ci sono le condizioni per cambiare stando dentro i trattati. All’inizio del semestre parlare di flessibilità e crescita era come dire parolacce, invece siamo riusciti a cambiare il vocabolario europeo. Ora dobbiamo fare un passo ulteriore, il piano Juncker non basta».
LA REGOLA AUREA
Ciò che Renzi vuole ottenere è l’applicazione della golden rule classica, la regola aurea prevista del glossario di Bruxelles secondo la quale tutte le ”spese buone” a favore della crescita non vanno conteggiate nel deficit. E questo perché se si genera sviluppo economico, si abbassa il rapporto tra deficit e Pil. «Scomputare gli investimenti fuori dal patto di stabilità è una nostra battaglia storica, speriamo che la Commissione la faccia propria», dice il premier. E aggiunge: «Questo principio è stato affermato ma non ancora declinato, vedremo...».
L’allusione è all’accordo faticosamente raggiunto al Consiglio europeo di dicembre sul piano presentato dal presidente della Commissione, Jean Claude Juncker. Accordo che prevede che i fondi investiti dai vari Stati nel piano non andranno a gravare sul deficit. «Ciò apre uno spiraglio e costituisce un precedente», dice una fonte autorevole della Commissione, «ma da qui a dire che tutti gli investimenti a favore della crescita godranno della golden rule, ce ne corre. La Germania e i Paesi nordici sono fermamente contrari. Dunque...». Dunque? «Se l’Italia dovesse procedere su questa strada andrà probabilmente incontro a una procedura d’infrazione».
La battaglia è cominciata.
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