Coronavirus, Norbert Walter Borjans, presidente Spd: «I Covid-bond sono necessari, ma non bastano, serve di più»

Coronavirus, Norbert Walter Borjans, presidente Spd: «I Covid-bond sono necessari, ma non bastano, serve di più»
di Flaminia Bussotti
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Domenica 5 Aprile 2020, 01:13 - Ultimo aggiornamento: 16:39

Norbert Walter Borjans, 67 anni, è da dicembre 2019 copresidente con Saskia Esken del partito socialdemocratico, alleato junior di Angela Merkel al governo. I due, succeduti ad Andrea Nahles, dimessasi a giugno dopo un anno politicamente turbolento, vengono dalla sinistra Spd e prima dell’elezione ipotizzavano una fine anticipata della grande coalizione con la Merkel. Ma oggi, di far cadere il governo prima della scadenza naturale nell’autunno 2021 non si parla più.

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A Berlino si parla molto, invece, di Covid-bond che, merito della pandemia in corso, hanno temporaneamente preso il posto degli Eurobond. Come è noto, gli stati del Sud Europa sono favorevoli, quelli del Nord no. L’Italia e altri partner rifiutano il Fondo salva-Stati (Mes) perché vincola i prestiti a dure e umilianti condizioni. E il premier Giuseppe Conte ha più volte sottolineato che l’Italia non accetta elemosine né intende chiedere ad altri di pagare i suoi debiti. Ma evidentemente non basta, perché Olanda, Austria e Germania restano contrari a iniziative che prevedano la condivisione dei debiti.

Presidente Borjans, quanto ancora andrà avanti la disputa? Fino a che l’Europa non avrà sbattuto contro un muro?
«Io sono favorevole agli Eurobond ma dico anche che la gravità della situazione non consente di accapigliarsi su questioni di principio. Per questo dovremmo procedere su un doppio binario. Se le resistenze su crediti comuni non si possono superare in fretta, dobbiamo modificare gli strumenti attuali. Una strada pragmatica: anzitutto attivare e completare il Mes, senza le umilianti misure punitive del passato. Ciò garantirebbe rapidamente la liquidità necessaria. Avremmo così il tempo di batterci per i Covbid-bond, il volume necessario, la durata e la debita correttezza affinché tutti gli Stati ricevano il necessario sostegno senza sottostare a condizioni indegne. Il ministro delle Finanze Olaf Scholz sta negoziando in tal senso con tutti i responsabili: sembra possibile un’intesa su un uso del Mes senza le condizioni incriminate. Dovremmo farlo nell’interesse comune. Alla lunga però il volume e la breve durata dei crediti del Mes non bastano, per questo non possiamo rinunciare ai Covid-bond».




Due suoi predecessori si sono fatti sentire in tal senso. Martin Schulz appoggia da sempre gli Eurobond e ora preme per i Covid-bond. Sigmar Gabriel ha criticato l’Unione e la Germania. Se anziché 156 miliardi in deficit Berlino ne avesse stanziati 166 e 10 li avesse dati come primo aiuto a Italia e Spagna, questi avrebbero ringraziato per cento anni. Ora invece ricorderanno che nel bisogno li ha aiutati la Cina. È questa la solidarietà europea?
«Fino a che Scholz non si è adoperato per raggiungere almeno un compromesso efficace, le risposte in Europa sono state vergognose. C’è chi ancora non ha capito la gravità della situazione. Pensare solo agli interessi nazionali spingerebbe prima o poi tutti gli Stati membri nell’insignificanza, persino la Germania. Se la Cina aiuta l’Italia non è per altruismo, dietro ci sono interessi brutali».

Ma 10 miliardi di aiuti sarebbero stati la soluzione?
«No, naturalmente. Serve un grande credito comune senza atteggiamenti di sufficienza e senza punizioni, piuttosto 1.000 miliardi da restituire tra 20 anni».

Lei è uno dei pochi politici tedeschi che si è schierato apertamente per gli Eurobond. La Germania e il governo sono divisi (Cdu-Csu contraria, Spd a favore), molti economisti sono contrari e la maggioranza dei tedeschi, stando ai sondaggi, pure. Quale sarebbe per lei la soluzione migliore?
«Ci sono anche molti esperti, come il Diw, che nel frattempo ritengono gli Eurobond - una tantum e limitati al Covid - la soluzione giusta. Che l’opinione pubblica abbia dei problemi ad accettarli dipende dal fatto che i conservatori e i liberali li discreditano da anni come condivisione del debito, ma si rafforza l’impressione di quanto la Germania profitti dall’Europa e che ciò comporta anche una responsabilità verso l’Europa. Va detto però che abbiamo bisogno di regole comuni che tengano conto delle differenti situazioni».

Centinaia di intellettuali fra cui Jürgen Habermas si sono appellati alla Merkel perché si dica in favore: cambierà idea?
«Gli appelli sono importanti, mostrano che non ci sono solo forze che fanno leva sull’egoismo nazionale, molti riconoscono il valore della solidarietà per la tenuta dell’Europa. Ne sono molto fiero, anche questa è la Germania e la politica non può ignorarlo».

Una sgradevole conseguenza del dibattito sui Covid-bond è la messa in dubbio dell’Europa, e non solo da parte dei partiti sovranisti ma anche dei cittadini. La sensazione che nel bisogno i Paesi se la devono sbrigare da soli anche quando non hanno responsabilità è oggi più diffusa. Molti si chiedono: a che serve questa Europa?
«Viviamo senza dubbio una fase di mancanza di solidarietà. I populisti hanno consensi non solo negli Stati Uniti o in Gran Bretagna ma anche da noi. Però mi creda, l’atteggiamento dei tedeschi verso l’Europa e gli italiani è in prevalenza positivo. Non ci si può stancare di ripetere che da soli gli Stati europei non conterebbero. Venti anni fa il Pil cinese era di poco superiore a quello italiano, oggi è sette volte tanto, e per la Germania non è molto diverso. A metà decennio il Pil cinese sarà come quello di tutta l’Unione. Buon divertimento a chi crede che da soli le cose andrebbero meglio».

Vede il rischio di una progressiva disgregazione dell’Europa?
«Sono sinceramente preoccupato. La crisi ora evidenzia che molti non pensano in modo europeo ma nazionalista. Era così nella crisi finanziaria e anche in quella migratoria. Molti hanno dimenticato quanti danni ha fatto l’egoismo nazionale all’Europa e quanto insignificanti siano già ora gli Stati europei da soli: nel 2000 il Pil di Italia, Spagna e Germania era tre volte quello della Cina. Ora quello cinese è il doppio dei tre stati messi assieme. Una follia pensare che da soli avremmo più chance».

La Germania è stata colpita dopo dell’Italia dal virus e l’emergenza pare sotto controllo. Come giudica le misure adottate dall’Italia. È possibile fare paragoni o parlare di un modello italiano?
«Siamo stati raggiunti dopo, ma non si può dire se alla fine gli effetti saranno minori. Da noi non si è dato per fortuna ascolto ai fanatici del liberalismo che avrebbero voluto fare tagli drastici al sistema sanitario. Per questo oggi abbiamo un buon dispositivo di terapia intensiva. Le immagini dall’Italia ci hanno messo in guardia. Se ciò basterà non lo sappiamo. Quel che sappiamo è che dobbiamo collaborare e che abbiamo bisogno di standard comuni della sanità. Perciò tutti gli Stati devono essere messi in condizione di agire».

Che cosa ha imparato la Germania dalla crisi del 2008 e dai sacrifici degli stati del Sud? 
«Posso parlare per noi socialdemocratici: che l’Europa non può essere fatta da benefattori e questuanti ma da partner con eguali diritti. Tutti traiamo profitto dall’Europa, abbiamo diverse posizioni di partenza ma abbiamo bisogno gli uni degli altri. La maggioranza dei tedeschi lo sa, risparmiare fino alla rovina non è la soluzione. Servono però regole adeguate per il finanziamento dello Stato, e tutti devono rispettarle».

Quali sarebbero i primi tre passi da fare ora per tenere unita l’Europa?
«Primo, dobbiamo far capire che l’Europa è una chance. Secondo, è bello che l’Europa abbia diverse lingue, culture, costumi ma abbiamo anche bisogno di unità della leadership politica col resto del mondo. Serve una moneta comune ma niente confini, un forte Parlamento europeo, e un governo non orientato come finora a egoismi nazionali e a un minimo comun denominatore. Terzo, serve una costituzione finanziaria che garantisca in base a chiare regole uguali condizioni di vita in tutta l’Unione».

Pensa che a Berlino il governo duri fino alla fine della legislatura? I media ipotizzano un quinto mandato per la Merkel.
«Non conosco i piani futuri della cancelliera. Al momento abbiamo altri problemi. In un tempo così difficile dipende dai partiti democratici risolvere uniti i problemi e giustificare la fiducia dei cittadini nella democrazia senza con ciò perdere il proprio profilo. Noi socialdemocratici lo facciamo vigilando perché non vengano dimenticati i lavoratori e coloro che non hanno margini finanziari e si trovano in difficoltà. Resto convinto che per una politica equa abbiamo bisogno alla lunga di altre maggioranze politiche, in considerazione anche di una corretta convivenza in Europa»

(l’intervista è stata concessa al Messaggero insieme a Repubblica e al Pais)

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