Coronavirus, il piano di emergenza: terapie intensive raddoppiate. «E riaprire gli ospedali chiusi»

Coronavirus, il piano di emergenza: terapie intensive raddoppiate. «E riaprire gli ospedali chiusi»
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Lunedì 2 Marzo 2020, 01:08 - Ultimo aggiornamento: 09:29

Il piano: aumentare, soprattutto in Lombardia, i posti di terapia intensiva almeno del 50 per cento. Favorire la collaborazione tra le regioni confinanti nelle aree maggiormente colpite dal contagio. E bisogna preparare anche le altre regioni italiane, come il Lazio che ha già ordinato a tutti gli ospedali, con particolare attenzione a Gemelli, San Camillo e Umberto I, di individuare nuove “ali” dove ricavare posti di terapia intensiva in isolamento. In Lombardia sono state bloccate tutte le attività di elezione, come gli interventi chirurgici che possono essere posticipati. Su scala nazionale il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, non esclude la riapertura di strutture ospedaliere che erano state soppresse: «L’Italia ha tanti ospedali che hanno piani chiusi, per via di accorpamenti fatti con il ridimensionamento sanitario. Guardiamo prima alle strutture esistenti, sono le cose più semplici da mettere in campo». Esiste però anche uno scenario considerato extrema ratio: la Protezione civile può allestire ospedali provvisori, quelli che tecnicamente si chiamano shelter, unità mobili con apparecchiature elettroniche e medicali.

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MILANO
In queste ore la Regione Lombardia ha stanziato «40 milioni di euro per le aziende sanitarie per l’acquisto di materiale e per approntare i posti letto delle malattie infettive e che prevede i primi 10 milioni per l’assunzione del personale». Si attingerà dai medici andati in pensione, ma anche dai giovani. E ci sarà la collaborazione con le strutture private che metteranno a disposizione posti aggiuntivi di terapia intensiva. Ma si farà in tempo a organizzarsi per sopportare l’incremento così rapido dei pazienti? Il contatore corre e preoccupa: rispetto a sabato, limitandosi solo a quel 5 per cento dei più gravi, ieri il numero dei contagiati dal coronavirus e ricoverati in terapia intensiva è aumentato dal 40 per cento, un incremento costante che rappresenta il vero buco nero del contrasto al Covid-19. Mettiamo in fila i numeri per capire: venerdì eravamo a quota 64, sabato a 105, ieri a 140. In due giorni, i pazienti gravi sono raddoppiati. Di questo passo il sistema va in tilt, anche perché, ha spiegato il viceministro della Salute, Pier Paolo Sileri, «i posti negli ospedali destinati alla terapia intensiva sono al 90% oggi già occupati». Purtroppo le emergenze esistevano anche prima del coronavirus.

C’è un altro problema: ospedali come quelli di Cremona e Lodi sono sotto assedio per quanto riguarda la rianimazione. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha offerto aiuto alla Lombardia: il problema è che il contagio ora si sta allargando a macchia d’olio anche nelle province emiliane più a nord, per cui il supporto a Lodi e Cremona può riguardare solo pazienti non gravi, non quelli che necessitano di terapia intensiva. Altro guaio, i pazienti più gravi sono concentrati in Lombardia (106 su 140): serve a poco che sistema paese abbia a disposizione oltre 5.000 posti, perché un malato grave difficilmente potrà essere trasferito in Abruzzo o in Toscana. Racconta il viceministro Sileri: «L’obiettivo è aumentare del 50 per cento i posti di terapia intensiva e sub intensiva, si possono ricavare nelle strutture ospedaliere esistenti». A Milano sarà utilizzato un ex ospedale militare per ospitare le persone in quarantena.

Ieri, durante la conferenza stampa, il capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che è anche commissario per l’emergenza coronavirus, ha spiegato che tutti gli scenari vengono presi in considerazione, anche quello della realizzazione di nuovi ospedali nelle strutture mobili, come si fa nelle zone terremotate. Però ha anche precisato con fermezza: non sarà necessario, ma in protezione civile bisogna avere pronti sempre tutti gli scenari. «Un dato importante è relativo alle strutture di pre-triage, fuori dagli ospedali, che sono 283» ha aggiunto Borrelli.

ROMA
A Roma e nel Lazio, ad esempio, in 31 ospedali c’è ormai una presenza visibile dell’emergenza coronavirus: sono le tende allestite davanti ai grandi ospedali perché ci sia un percorso di triage separato per i sospetti casi di Covid-19. Il precedente dell’ospedale di Codogno, dove si è alimentato il contagio a causa della presenza del paziente 1, è un monito molto presente in tutte le strutture sanitarie, tanto che ai medici la Regione Lazio ha ordinato di svolgere tutti i colloqui con i pazienti mantenendo sempre un metro di distanza.
 

 
 

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