Coronavirus, Tremonti: «Il Mes sarebbe sempre debito nazionale, meglio un Btp esente da imposte»

Tremonti: «Il Mes sarebbe sempre debito nazionale, meglio un Btp esente da imposte»
di Andrea Bassi
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Mercoledì 8 Aprile 2020, 00:35 - Ultimo aggiornamento: 12:31

Professor Giulio Tremonti, il governo ha adottato un decreto legge per fornire alle imprese liquidità per 400 miliardi. Il premier Giuseppe Conte ha definito l'intervento poderoso. Concorda?
«Forma e sostanza».

Prego?
«La forma è quella del decreto legge, la sostanza cuba 400 miliardi di oggi più 300 miliardi di ieri, pari a 700 miliardi. Si tratterebbe della manovra più grande d'Europa».

Usa il condizionale?
«In base alla Costituzione un decreto legge si fa per necessità ed urgenza. Necessità ed urgenza devono coesistere. La logica della Carta è un decreto efficace da subito. Un atto legislativo prende la forma straordinaria del decreto invece della forma ordinaria della legge, perché deve produrre subito i suoi effetti». 

E non è così in questo caso?
«Questo decreto ha prodotto subito un effetto annuncio, ma sarà molto dopo che produrrà forse i suoi effetti sostanziali. Per una grossa parte il decreto presuppone il passaggio a Bruxelles per l'approvazione. E questo è un punto. Poi ce n'è un altro».

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Quale?
«Il passaggio in Parlamento e la contorsione delle procedure. Sono a monte l'effetto di una lotta di Palazzo, che a valle comporta di riflesso una contorsione delle norme e delle procedure che svilupperà il dibattito in Parlamento. La regola dei decreti è: effetti subito salvo qualche successivo cambiamento». 

E in questo caso?
«Qui è certo che ci saranno tanti di quei cambiamenti, e sostanziali, da paralizzare la manovra. Da quando la bozza, che oggi è ancora un fantasma, sarà pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e poi infine approvata, passeranno più di 60 giorni. In casi come questo il tempo è strategico. Anzi vitale».

Come cambierebbe il decreto?
«Fondo perduto o almeno 10 anni invece di sei per rimborsare».

Le imprese sostengono che la liquidità gli serve, come si dice, entro ieri.
«Per essere chiari, in altri Paesi la pandemia è arrivata dopo, ma l'aiuto economico alle imprese è già arrivato». 

Se lei si riferisce alla Germania e al piano finanziato con 156 miliardi di deficit, si può dire che i tedeschi partono da condizioni di bilancio diverse da quelle italiane?
«Trecento miliardi prima, 400 miliardi oggi, lottizzati tra il Ministero dell'Economia e quello degli Affari esteri, effettivamente cubano la più grande manovra della storia italiana e d'Europa. Messa giù così, se vai in Europa a chiedere gli eurobond, puoi aspettarti che una rauca voce nordica ti dica: ma se hai già tutti questi soldi, perché ne vuoi ancora?».

E cosa dovrebbe rispondere il governo?
«Che un conto è parlare in televisione in Italia, dire che hai una enorme potenza di fuoco. Un conto è il giorno dopo in Europa. Tanto è vero che hai costruito procedure complicate proprio per non spenderli». 

Che avrebbe dovuto fare il governo?
«Copiare dalla Germania, che a sua volta ha copiato dalla Svizzera, e poi starsene tranquilli nella quiete domestica».

Il governo sembra aver temporeggiato sulle misure anche in attesa di un segnale proprio dai partner europei. Ma i Paesi del Nord insistono sull'attivazione del Mes, il Fondo salva-Stati, per affrontare la crisi.
«L'Europa che abbiamo conosciuto e che abbiamo amato, era semplice e per questo popolare. Carbone, acciaio, agricoltura, ecc. Questa nuova Europa passa attraverso acronimi. Per capirla devi aver fatto un semestre, o almeno uno stage, in una banca d'affari americana o inglese. Detto questo, eurobond voleva dire debito europeo. Tutto quello che si sta organizzando è debito nazionale operato attraverso strumenti vecchi, come il Mes, o nuovi da inventare in Europa».

Strumenti in qualche misura ideati anche quando lei era ministro.
«Guardi, nel 2008, semestre di presidenza francese, il governo italiano fece alcune proposte. Rilevò che nei trattati europei non c'era la parola crisi. E ovviamente non c'erano gli strumenti per affrontarla. La discussione fu lunga. Poi una notte un notaio venne all'Eurogruppo e fu costituito il primo fondo europeo. Così nacque l'Esm. La discussione era: serietà sopra nel fare i bilanci, solidarietà sotto verso gli Stati in crisi e in mezzo il fondo per emettere eurobond».

Poi che è successo?
«È arrivato il caos, la passeggiata di Deauville, la crisi delle banche tedesche e francesi, troppo esposte sulla Grecia, la caduta della fiducia, le troike, il salvataggio dell'euro fatto da quelli che il caos avevano causato. Da questo caos è venuto fuori l'attuale Mes». 

Resta l'idea di far emettere all'Esm, o Mes, titoli di debito?
«La ideona che pare si sia sviluppata nel laboratorio europeo, è quella del doppio debito. Sopra una kombinat di attrezzi vecchi e/o nuovi che raccoglie i capitali a debito, sotto gli Stati che si indebitano per acquisire a loro volta a debito una quota di quei capitali a loro volta presi a debito. Il segreto di fabbrica sarebbe il doppio debito. La produzione di debito a mezzo di debito». 

Magari l'idea è che almeno si ottengano tassi più convenienti?
«Le condizioni non sono note, ma in ogni caso in tempo di tassi che sono già bassi un Paese si vincola molto e risparmia poco. Ma se ti indebiti in questo modo, prima o poi il creditore ti chiederà conto dell'uso che hai fatto dei suoi soldi. Questo è certo, come è certa un'altra cosa».

A che cosa si riferisce?
«Se anche si sviluppasse uno strumento nuovo europeo, avremmo sempre il problema del nostro debito che cresce. Credo che in un contesto finanziario complicato, e in prospettiva drammatico con il serpeggiare non infondato di paure come quelle della patrimoniale o del prestito forzoso, l'alternativa sia la fiducia». 

In che senso la fiducia?
«La formula per iniziare un percorso di fiducia sul debito pubblico è quella secolare esente da ogni imposta presente e futura. Su questa base, che ha un forte valore simbolico oltre che economico, fare emissioni di titoli di Stato da offrire. Aggiungendo che i capitali così raccolti saranno non solo sicurezza oggi, ma sviluppo domani». 
 

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