Coronavirus, i punti oscuri del decreto. C'è il pericolo che qualche falla favorisca il contagio

Coronavirus, i punti oscuri del decreto. C'è il pericolo che qualche falla favorisca il contagio
di Simone Canettieri
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Mercoledì 11 Marzo 2020, 00:46 - Ultimo aggiornamento: 10:06

ROMA «Dobbiamo militarizzare il Paese?». La domanda rimbalza al telefono tra i vertici del Viminale e quelli della Polizia, passando sempre per Palazzo Chigi. La risposta è «no». Con una postilla: «Ma per il momento». 
Poi, sempre il medesimo quesito torna indietro e corre, di bocca in bocca, tra i prefetti che a loro volta rispondono ai dubbi dei questori, fino a ritornare al ministero dell'Interno. Senza una linea stabilita. E la prima giornata dell'Italia chiusa si svolge così, «in pieno rodaggio», come ammettono un po' tutti i protagonisti a microfoni spenti. Con una lunga e continua triangolazione di chiamate tra il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, il capo della polizia Franco Gabrielli e il premier Giuseppe Conte
Il martedì passa in attesa di una circolare interpretativa da girare ai i prefetti, annunciata di mattina, che arriva però solo in serata. Nel frattempo all'ora di pranzo spunta un più agile decalogo di «raccomandazioni» e faq (domande e risposte) sugli spostamenti possibili e su quelli proibiti, consultabili sul sito dell'Interno.

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I DUBBI
C'è la consapevolezza, al Viminale, che far rispettare le leggi, con tutte i punti ancora oscuri del decreto, «è complicato», come racconta una dirigente di lungo corso.
«Lo stato di necessità» è un concetto ancora troppo ambiguo e labile. Va bene la spesa al supermarket, ma se si fulmina una lampadina in casa? O se - per chi fuma - sono terminate le sigarette? E poi i parchi? Sulla carta - o meglio nel Dpcm di Conte - non sono interdetti, ma siamo sicuri che si possa rispettare il famoso metro di distanza? E i bisognini del cane: sono o no uno stato di necessità? Domande banali che però non trovano risposte unilaterali in attesa di uno «scusi, lei dove sta andando?». 
Anche perché, altro busillis, l'autocertificazione per come è stata congeniata sembra avere le maglie larghe. Nel caso dei lavori atipici e parasubordinati, per esempio, le «comprovate esigenze lavorative» sono davvero così dimostrabili? E quando inizia il turno? E prima fino a quanto si può stare in giro? E se i negozi sono aperti e quasi quasi mi compro un maglione? Rientra nello stato di necessità? No. Ma allora cosa sono aperti a fare? La situazione è magmatica e nel primo giorno si opta per la linea soft in giro per il Paese. I filtraggi vengono svolti nelle stazioni, nei caselli autostradali e negli aeroporti. 

In giro, per il resto della città si va avanti con i controlli a campione, almeno fino a quando non tramonta il sole. Non ci sono particolari stanziamenti di forze dell'ordine. Vengono rispettati i turni normali, anche se le questure danno la massima disponibilità per mettere a disposizioni gli organici. Nei fatti vengono cambiate le tipologie di servizi.
La sensazione nelle grandi città, a partire da Roma, è che almeno durante il giorno (prima della chiusura di bar e ristoranti alle 18) ci sia «troppo movimento». Come se il messaggio non sia stato del tutto recepito dalla popolazione. D'altronde ci vuole tempo.
Ecco perché dal ministero dell'Interno aspettano di studiare i primi dati, di vedere l'effetto dei divieti, soprattutto nelle piazze della movida, in tutti quei luoghi cioè presi d'assalto dai giovani che, complice la chiusura delle scuole e delle università, vorrebbero ora più che mai riversarsi in strada. 
 



LA TEORIA
Per il momento non c'è una linea dura. E si ritorna dunque «al buonsenso». 
Ma se - è uno dei ragionamenti usciti durante il susseguirsi di vertici di ieri ai massimi livelli - il messaggio di non uscire non fosse recepito da tutti, inizierebbero i pattuglioni, i posti di blocco, i filtraggi, le aree cinturate. In poche parole, quella militarizzazione che al momento il ministro Lamorgese vuole evitare, anche perché da Conte non sembra ancora arrivare questo input, al di là di un Dpcm che per certi tratti risulta ancora discrezionale. «Lo stato d'emergenza delle città, altro aspetto non secondario, si somma al caos nelle carceri e quindi - spiegano ancora dal Viminale - nella sorveglianza dei divieti giocoforza occorre fare delle scelte quando c'è da scegliere un dispiegamento di energie». In serata i prefetti attivano anche i sindaci per far rispettare i divieti di chiusura per le attività commerciali. Si cerca di allargare il controllo, il più possibile. Sapendo che la sanzione penale spaventa sì, ma non troppo per uno stato d'emergenza come quello che l'Italia sta vivendo. C'è chi preferirebbe, anche tra i prefetti sanzioni amministrative ma molto più rigide (ritiro della patente per chi non è in regola con l'autocertificazione) o sospensione della licenza commerciale (per chi non rispetta gli orari tra gli esercizi pubblici). «Una situazione del genere è inedita, dobbiamo aspettare - ragiona un prefetto - e prendere le misure alle abitudini degli italiani». Sperando che nel frattempo inizi a calare il trend dei contagi o che, viceversa, non si espanda.

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