Coronavirus, «La cura al plasma funziona, terapia efficace in due giorni»

Coronavirus, «La cura al plasma funziona, terapia efficace in due giorni»
di Valentina Arcovio
4 Minuti di Lettura
Domenica 3 Maggio 2020, 01:04 - Ultimo aggiornamento: 4 Maggio, 07:39

La terapia al plasma funziona. Decine di pazienti con coronavirus sono state trattate con successo con questa procedura in via di sperimentazione in alcuni ospedali del nord Italia, a cominciare dal policlinico universitario San Matteo di Pavia e dall’ospedale Carlo Poma di Mantova, seguiti poi nelle settimane scorse dagli ospedali di Novara, in Piemonte, e Padova nel Veneto.

Coronavirus, i malati migliorano con il plasma. Cauti i medici: «Cura da valutare»
Lotta al Covid, la Asl di Frosinone avvia la cura sperimentale con il plasma dei pazienti guariti

Da pochi giorni si è concluso il primo studio, ma sappiamo già che i risultati sono molto promettenti. «I risultati visti nei casi singoli sono stati sorprendenti», riferisce Massimo Franchini, responsabile dell’Immunoematologia e Medicina trasfusionale dell’ospedale Carlo Poma di Mantova.

MIGLIORAMENTI IN UN GIORNO
«Ora con i colleghi di Pavia stiamo riesaminando tutti i casi, valutando la risposta clinica e strumentale, per trarre delle conclusioni generali su questa che è una terapia specifica contro Covid-19», aggiunge. La terapia consiste nell’utilizzo del plasma dei pazienti guariti dal Covid-19. Al trattamento sono stati sottoposti i pazienti più problematici, quelli che rischiavano di arrivare in terapia intensiva. I miglioramenti sono risultati evidenti già dopo 1-2 giorni dall’inizio della terapia. La procedura è inoltre sicura. Il sangue dei donatori viene prelevato e poi trattato per isolare il plasma dal resto. Inoltre, si applicano una serie di procedure che lo rendono sicuro inattivando le sostanze che potrebbero rivelarsi dannose per il ricevente.

La plasmoterapia è una strada che non viene seguita solo in Italia. Negli Stati Uniti nell’ultimo mese sono state avviate decine di sperimentazioni simili. E ancora prima, risultati molto incoraggianti sono arrivati dalla Cina. Tuttavia, un limite c’è ed è quello della disponibilità dei donatori. In media per ogni sacca di sangue prelevata si riescono a trattare due pazienti, ma molto dipende dalla carica complessiva degli anticorpi presenti nel plasma e dalle condizioni dei malati che vengono trattati. Limite, questo, sottolineato anche dal noto virologo Roberto Burioni in un video pubblicato sul proprio sito web Medicalfacts.

«La terapia con il plasma iperimmune prelevato dai pazienti guariti dal Covid-19 è interessante, ma è una cura d’emergenza, non si può pensare a un utilizzo esteso a tutti perché non si possono svenare i soggetti guariti», dice. «Inoltre, dobbiamo essere certi che questi pazienti siano guariti, che abbiano gli anticorpi, che non abbiano altre malattie», aggiunge.

Parole, queste, a cui è seguita una risposta forte da parte di Giuseppe De Donno, direttore di pneumologia al Carlo Poma di Mantova. «Forse il professore non sa cosa è il test di neutralizzazione. Forse non conosce le metodiche di controllo del plasma», scrive su Facebook. «Importante è salvare vite», aggiunge.

Più controverso il trattamento a base di Remdesivir, l’antivirale sviluppato per l’ebola e ora in sperimentazione contro il Covid-19. L’Agenzia europea per i farmaci (Ema) ha avviato uno studio di revisione continua dei dati con procedura rapida relativo a questo farmaco. Si tratta di una procedura di cui si avvale per velocizzare la valutazione di un farmaco sperimentale promettente durante un’emergenza di salute pubblica, come l’attuale pandemia. Tuttavia, precisa l’Ema, «è ancora troppo presto per trarre conclusioni sul rapporto rischio-beneficio del farmaco». 


SPERIMENTAZIONE CLINICA
L’avvio dello studio «significa che è iniziata la valutazione e non implica che i suoi benefici siano maggiori dei rischi», rileva l’Agenzia. Il nostro Paese è stato tra i primi ad adottare il remdesivir. Era infatti presente già nei protocolli terapeutici applicati per curare i primi due pazienti cinesi che a febbraio furono ricoverati allo Spallanzani di Roma. E ora è in corso una sperimentazione clinica. Negli Stati Uniti c’è grande entusiasmo, frenato da uno studio pubblicato su The Lancet, secondo il quale non ci sarebbero evidenze di benefici statisticamente rilevanti nel decorso della malattia dei pazienti in cura con l’antivirale. «Prima di giudicare aspettiamo di vedere i dati», dice il farmacologo Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. «Entro fine maggio potremmo avere già i dati della sperimentazione attualmente in corso in Italia e allora avremo qualcosa su cui valutare l’efficacia del farmaco», conclude.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA