Comunali, la carica dei 150mila candidati. Boom italiano: peggio perfino dell’Albania

Comunali, la carica dei 150mila candidati. Boom italiano: peggio perfino dell’Albania
di Diodato Pirone
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Venerdì 3 Giugno 2016, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 11:35
A due giorni dalle elezioni comunali, per milioni di elettori c’è una sola certezza: si tratterà del voto più scomodo e complicato degli ultimi anni. I votanti romani, i più numerosi, dovranno armeggiare con due maxi schede (comunali e circoscrizionali) con la prima di ampiezza superiore al mezzo metro quadro appena sufficiente per contenere 13 nomi di candidati a sindaco e ben 34 simboli elettorali. Un record. Ma mica italiano: europeo.

Basti pensare alle recentissime elezioni comunali di Londra, quelle passate alla storia per l’elezione di un sindaco di origine pachistana come il dottor Sadiq Kahn, dove i 12 milioni di londinesi hanno potuto scegliere fra 11 candidati a sindaco appoggiati da 11 liste. Tutto semplice. Tutto lineare.

Il guaio è che le schede per le nostre elezioni comunali sono le più complesse di tutto il Vecchio Continente. «L’anno scorso si sono svolte le elezioni locali a Tirana, capitale dell’Albania - spiega Antonio Noto, direttore della Ipr Marketing, azienda specializzata in sondaggi - Ebbene sulle schede c’erano 6 candidati appoggiati da una cinquantina di liste. Tecnicamente gli elettori delle comunali italiane sono sono al livello di quelli albanesi».
 
ELETTORI TALENTUOSI
Ne sapranno qualcosa soprattutto i napoletani che fra quarantotto ore dovranno sfoggiare un notevole talento per destreggiarsi nella variopinta valanga di ben 41 liste e 10 possibili sindaci. Non che vada meglio in centri di minore grandezza: a Latina si contano 30 liste; a Terracina, sul litorale laziale, addirittura 29; a Sulmona, in Abruzzo, si presentano ben 300 candidati per una città che ha appena 24.855 abitanti. Qui siamo a livelli da epidemia: un candidato al consiglio comunale ogni 82 abitanti considerando anche neonati e adolescenti. La malattia è talmente avanzata che a Fasano, in provincia di Brindisi, un cittadino si è ritrovato in una lista a sua insaputa e - come ha raccontato IlFattoquotidiano - ha presentato denuncia tramite un avvocato scoprendo solo dopo che anche il professonista era in lista.

La “candidatite” comunque è ad alto contagio. «Non potevamo controllare tutti gli aspiranti consiglieri comunali: sono oltre 150.000 in tutt’Italia», ha esclamato l’altro giorno a Radio24 Giuseppe Lumia, componente della Commissione Antimafia, commentando le gravi affermazione della Commissione secondo la quale nelle tantissime liste civiche si nascondono troppo spesso sorprese amarissime.

«Il boom delle liste meriterebbe un’analisi molto attenta perché definisce la qualità della nostra democrazia», sottolinea ancora Noto. Che, da osservatore privilegiato dell’evoluzione della politica, ragiona così: «L’aumento esponenziale dei candidati dovrebbe comportare un aumento dei votanti - spiega - E invece accade il contrario. A Roma, già in occasione delle comunali del 2013, votò appena il 53,8% degli aventi diritto, venti punti in meno rispetto a 5 anni prima».

Ma allora cosa spinge decine di migliaia di italiani a candidarsi? «Si tratta di una gigantesca operazione di raccolta e di misurazione del consenso sul territorio - sottolinea Noto - Centinaia di ras locali colgono l’occasione di queste comunali per far capire ai partiti quanto valgono in termini di raccolta di voti nelle rispettive aree di influenza. Queste elezioni costituiranno, ovviamente non ovunque, la base per contrattare durante la formazione delle liste delle prossime elezioni politiche. E così la democrazia è servita».

Possibili rimedi? Gli addetti ai lavori si sgolano da anni: una riforma della legge che preveda un tetto alle liste d’appoggio ai sindaci oppure quanto meno l’aumento del numero delle firme necessario a presentare una lista.
Ma che sia ora di intervenire lo dimostra la diffusione patologica di un altro fenomeno grottesco: il boom dei rappresentanti di lista che così hanno il permesso di non recarsi al lavoro.

A Roma l’azienda dei trasporti Atac, con tutti i guai che già l’affliggono, ha scoperto che ben 850 suoi dipendenti (su meno di 12.000) nei giorni di voto e di spoglio, ovvero il 5 e 6 giugno, sono legalmente autorizzati a non lavorare per seguire le operazioni elettorali.

Il problema in passato affliggeva anche gli stabilimenti Fiat che venivano addirittura chiusi in occasione delle elezioni locali. Poi un accordo con i sindacati ha inserito le assenze dei rappresentanti di lista nel calcolo dei premi antiassenteismo. Problema risolto.
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