Stavolta Clint Eastwood sbaglia mira: “American sniper” è un film affascinante ma incompiuto

Stavolta Clint Eastwood sbaglia mira: “American sniper” è un film affascinante ma incompiuto
di Fabio Ferzetti
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 24 Dicembre 2014, 06:05 - Ultimo aggiornamento: 30 Dicembre, 18:32
Otto anni fa Clint Eastwood girò due grandi film sulla stessa battaglia: Flags of our Fathers e Letters from Iwo Jima. Due film cioè due punti di vista, diversissimi e complementari. Il primo era raccontato con gli occhi degli americani, il secondo con quelli dei giapponesi.



Ma se nel primo dominava la “macchina” (la macchina infernale della guerra, la macchina della propaganda, i cannoni e i mezzi da sbarco delle scene di battaglia), nel secondo c'erano solo i soldati, cioè gli uomini. Con tutti i loro sentimenti e i doveri, i dubbi, i conflitti, ammirevolmente orchestrati in un racconto corale tanto asciutto quanto libero nella struttura.



PUNTI DI VISTA

American Sniper, sugli schermi Usa a Natale e da noi il 1° gennaio, è l'esatto opposto. Non due film, ma uno solo, dedicato a un uomo che diventa una perfetta macchina da guerra senza smettere di pensare, sentire, soffrire, da essere umano. Non un racconto libero e corale, ma un film ossessivamente orchestrato intorno a uno e un solo punto di vista, quello del leggendario cecchino Chris Kyle (un mastodontico Bradley Cooper). Un texano dalla mira infallibile che durante la guerra in Iraq uccise ufficialmente 166 nemici (ma la cifra reale dovrebbe superare i 250). Un patriota che appena arriva al fronte, almeno nel film, si trova nel mirino una donna e un bambino. Ma quando intravede nel cannocchiale che la prima nasconde una bomba, non esita a far fuoco. Anche se rischia la corte marziale e ha la morte nel cuore.



Si capisce cosa deve aver attratto Eastwood in questa storia, tratta dalle memorie dell'American Sniper (Mondadori). Chris Kyle è l'ambivalenza fatta persona. Nessuno spara meglio di lui. Nessuno dubita meno di lui, quando si tratta di difendere i suoi compagni o uccidere quei «selvaggi» (come il famigerato “Macellaio”, uno sgherro di al-Zarqawi che uccide un bambino col trapano davanti al padre, tanto per ricordare a noi cacadubbi europei cosa si trovavano di fronte, anche, i soldati Usa).



Tanto che il film, per aderire meglio al suo sguardo (alla sua visione del mondo), evita con cura ogni riferimento esterno all'orizzonte, angusto quanto inesplorato, dell'eroico Chris. Niente Abu Ghraib, dunque, né la minima allusione alla scena politica. American Sniper parla di soldati, punto e basta. Anzi di quel soldato, della sua vita, della moglie che lo aspettava a casa, magari ascoltando battaglie terribili in diretta sul cellulare (Sienna Miller). Di come riuscì, in un modo o nell'altro, a essere - anche - un bravo padre e marito. E del prezzo pagato, perché non si esce interi dall'inferno.



E se Chris continua a sparare e uccidere, anche a più di un miglio di distanza, sopportando (a malapena) l'enfasi dei commilitoni che lo chiamano “Leggenda”, è chiaro che qualche dubbio si è insinuato perfino nel corpo roccioso di quel tiratore scelto che nel prologo, ancora ragazzino, viene portato dal padre a caccia di cervi (morale finale: «Al mondo ci sono lupi, pecore e cani pastore. Noi siamo cani pastore...»).



STORIA VERA

Difficile però non fare paragoni con l'unico cine-capolavoro prodotto finora dalla guerra in Iraq, The Hurt Locker di Kathryn Bigelow (e volendo col successivo Zero Dark Thirty). Per accorgersi che tutta l'empatia di Eastwood, la sua immensa bravura nelle scene di guerra, l'interpretazione monumentale di Bradley Cooper, non bastano a coprire i vuoti di una sceneggiatura troppo generica sul fronte intimo e coniugale per dare al personaggio la complessità e la statura necessarie. Non sempre le storie vere, con tutti i loro vincoli, convengono al cinema. Guardare il mondo attraverso un mirino può essere molto rivelatore. Ma alla lunga, anche se Kyle tiene aperti tutti e due gli occhi, non basta.