Ostia, le intimidazioni del boss: «Portava il lanciafiamme»

Ostia, le intimidazioni del boss: «Portava il lanciafiamme»
di Sara Menafra
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Venerdì 26 Gennaio 2018, 00:09 - Ultimo aggiornamento: 08:39

Una realtà criminale «emergente», ma già «dominante», con «un nucleo di killer assoldati ed efficienti» e un boss che gira con il lanciafiamme nascosto in auto. Un gruppo che si è fatto spazio nel vuoto di potere delle altre cosche e che era riuscito ad accaparrarsi gli interessi di attività sul litorale. La storia del clan Spada, scrive il gip Simonetta D’Alessandro, affonda le radici nelle organizzazioni criminali da tempo basate a Ostia: «Le forze in campo sono costituite da una componente facente capo anche a Cosa Nostra, sul territorio dagli anni ‘80, con riconosciuta funzione di alta mediazione riconosciuta dagli epigoni della Banda della Magliana». Nello scontro di potere, vent’anni fa, ad avere la meglio era stata la famiglia Fasciani, «operativa dagli anni Novanta attiva nel settore del traffico internazionale di stupefacenti e nel controllo di attività economiche di balneazione e ricreative del litorale», con gli Spada «subordinati». Poi, l’arresto dei Fasciani e la “decapitazione” del clan Baficchio, erede della Magliana, proprio da parte della famiglia sinti, segna il cambio di passo. Oggi, i leader dell’organizzazione, dice la procura, sono Romoletto e Roberto Spada (quello della testata al giornalista Piervincenzi), mandanti dell’omicidio del capo dei Baficchio, Giovanni Cardoni. La «struttura familistica» è la sua forza, con legami che si spingono, nel caso del giovane Ottavio, a legami con trafficanti internazionali.

Romoletto, «è la persona della famiglia che non tocca mai i soldi o la droga e manda gli altri a fare i traffici illeciti, dirigeva l’organizzazione», dice di lui Paul Dociu, il primo pentito tra gli uomini di fiducia del clan. 

IL CAPO
Quando c’è da far paura, però, è Romoletto che si muove e parla con voce da boss a chi non rispetta l’organizzazione. Visita decine di locali «protetti» o indebitati con la famiglia. Nel 2013, ad esempio, si presenta al Piccolo Ranch, ceduto da un pregiudicato ad una nuova amministratrice. È lei a denunciare che Romoletto, «era venuto al ristorante con una macchina rubata portandosi un lanciafiamme al seguito». Vantando un presunto debito, il boss le parla mostrandole un coltello: «Che dovemo fa? Questo locale non è tuo, è mio». Chi parla con la polizia fa una brutta fine: macchine incendiate a chi «collabora», «denudato e picchiato» il padre di un pentito. Chi rifiuta di pagare rischia che gli tolgano i denti «con le tenaglie».

I NEGOZIANTI
Sono in molti ad avere paura. Il titolare di un bar «protetto dagli Spada» e vessato dalle richieste «dei napoletani», si sfoga: «Purtroppo questo a me mi hanno chiesto e l’ho dovuto fa! Se vuoi stare qua sennò ogni notte è buona per la tanica! Meglio stare con gli Spada». «Posso citarvi anche un bar gestito da cinesi che si trova in Via Cagni che prima pagava il pizzo a mio zio e che ora invece lo paga agli Spada», racconta Michael Cardoni, erede di Galleoni. «Da quel che ho capito il sistema consisterebbe nell’imporre una macchinetta di videopoker degli Spada per ogni due macchinette installate regolarmente dall’esercente e collegate con i monopoli», conferma il pentito Dociu. 

I LEGAMI CON LA POLITICA
Anche l’amministrazione locale, spesso si piega.

Il gip parla di penetrazione della «struttura politico amministrativa». E sul territorio ci sono sia amministratori conniventi, sia spaventati. Nel 2015, per il tribunale, è difficile persino restituire al Municipio le chiavi della palestra Femus, quella gestita da Roberto Spada. La dirigente chiede ai vigili di non darle le chiavi, «non si tratta nemmeno di gente tranquilla se ci stanno i banditi io il locale lo prendo in consegna solo quando ho le chiavi e la porta allarmata». Tra i conniventi, oltre al dirigente Aldo Papalini, che avrebbe aiutato gli Spada nelle loro mire sugli stabilimenti, una rete di dirigenti che li avrebbe favoriti nel racket delle case popolari. 

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