Sergio Castellitto: «Il futuro della Capitale sta nel rispetto di tutti»

Sergio Castellitto: «Il futuro della Capitale sta nel rispetto di tutti»
di Maria Latella
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Sabato 28 Maggio 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 30 Maggio, 09:46
Sergio Castellitto sta guardando il tramonto dalle finestre di casa sua, zona Villa Ada. «Certo, poi uno vede un tramonto cosi...». Prima, bastava quello. Ora la bellezza non intorpidisce più, è un anestetico sempre meno efficace. Sergio Castellitto, romano cresciuto in lungotevere della Vittoria, attore, regista, racconta perché i tramonti non bastano, ma anche perché non cederà alla rassegnazione. «Ho quattro figli - è la sua premessa - Due sono andati a Londra ma vogliono tornare. Come padre, e anche come artista, vorrei avessero un senso del futuro. Che ce l’avesse Roma. Francesco De Gregori è stato decisamente preveggente quando in una sua canzone ha descritto Roma come “cagna in mezzo ai maiali”. E’ una città che gode del più prestigioso dei passati mentre sembra non avere futuro».

Cos’è per lei il futuro di Roma?
«Un desiderio di dignità. Uscire la mattina da casa e poter contare sui servizi pubblici. Consegnare ogni giorno una città pulita. Sapere di poter arrivare in tempo in ufficio. Cose così».

Una foto dall’album dei ricordi e una che scatterebbe oggi col suo smartphone.
«Le racconto quel che mia moglie, Margaret, ha visto giorni fa passando sotto quella che è stata la casa della mia infanzia. Roma era quella che guardavo dal balconcino di lungotevere della Vittoria, la casa di mia madre. C’erano i platani e il Tevere che scorreva sotto. Per me è questa l’immagine più forte e anche più commovente della Roma di ieri. Giorni fa Margaret è passata da quelli parti. Ha visto un cassonetto divelto. Intorno, un vero e proprio immondezzaio. E i bambini che in quell’immondezzaio giocavano. Sembrava Città del Messico, era lungotevere della Vittoria. Un tempo quartiere di borghesia operosa».

Proposte?
«Noi cittadini dovremmo chiedere di multare chi ci ha governato. Il Comune dovrebbe pagare una multa tutte le volte che viene meno alle promesse fatte».

La prima multa che comminerebbe al Comune di Roma.
«Gliene farei una per come maltratta il verde. E’ una città che non ha rispetto dei vecchi e dei bambini, quelli che del verde pubblico hanno più bisogno. Ci sono aree di villa Ada in cui letteralmente non si può entrare».

Però, diceva, è anche colpa nostra.
«Sono romano e posso dirlo: ci ha fatto comodo non essere governati. Ci è piaciuto, eccome se ci è piaciuto».
Nella popolare serie di Sky, “Intreatment” lei recita la parte dell’analista. Provi a psicanalizzare Roma e i romani.
«L’io non ce l’hanno solo gli individui. Ce l’hanno anche le città. Quello di Roma è un “io” atrofizzato. Si guarda allo specchio e non cresce. Come un soggetto che rifiuti il confronto con la realtà. Quanto a noi romani, camminiamo tutti a testa bassa. Una volta che abbiamo conquistato il nostro parcheggio, è fatta. Degli altri chi se ne frega».

In questi giorni lei gira molto la periferia di Roma per il film che comincerà a breve. Cosa le raccontano?
«C’è una materia umana straordinaria. Giro il mio film a Torpignattara, Centocelle, Mandrione. Entro nelle case e vedo dignità nell’indigenza. Mi sembrano molto meglio di chi li ha governati. Li trovo informati e ironicamente delusi. Si affaccia spesso una entità terza, misteriosa. “Loro”. “Tanto “loro” continueranno a fare come sempre”. “Tanto comandano “loro”. Glielo vogliamo togliere il passamontagna? Vogliamo scoprire chi sono “loro”?».

Un aggettivo per questa città.
«Faticosa. Io al mattino mi sveglio entusiasta. Poi, andando in giro, l’entusiasmo si spegne. Ma ogni mattina ricomincio».

Perché è un privilegiato.
«Sono un privilegiato e, per fare un esempio, posso cercare di non fare la fila. Ma io voglio pensare a chi la fila deve farla. Sa quando si prova più rabbia? Un pomeriggio che sei al Pincio e al tramonto vedi lo spicchio di sole scendere lentamente. Tocchi con gli occhi un momento perfetto e allora realizzi ancora più acutamente lo scempio. Vede? E’ difficile fare un’intervista su Roma e non scoprirsi arrabbiati».

Da “psicanalista” qual è la sua diagnosi?
«Roma non si rialza perché è in ginocchio. Dovrebbe liberarsi dei pesi, mandare il Parlamento a Tor Bella Monaca, per esempio. Del Senato e di Montecitorio facciamo due grandi siti turistici. Tanto sono già quasi dei pezzi da museo».

Possibilità di guarigione?
«Ci vorrebbe un massaggio al cuore. Trent’anni fa, alla Garbatella, girai un film con un titolo che allora pareva strano: “Roma sembra morta ma è solo svenuta”. Ecco speriamo che sia così. Ma solo l’indignazione può salvarci. Esci di casa e cominci il tuo pattugliamento civico. “No guardi, lei adesso quella carta la raccoglie da terra”. Pattugli anche te stesso, naturalmente. Stai guidando? Offri il passo. “Ma certo, passa tu”. (2-Continua)
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