Così i romani pagano il conto degli show a difesa dei privilegi

Così i romani pagano il conto degli show a difesa dei privilegi
di Mario Ajello
4 Minuti di Lettura
Venerdì 21 Dicembre 2018, 00:00
Inferno 2018 (quasi ‘19) è quello in cui i motorini cercano di scappare sfrecciando lungo i marciapiedi e in cui i pedoni tentano di mettersi in salvo facendo zigzag in mezzo alle strade del traffico paralizzato dagli show dell’eterna protesta, che ogni volta si rinnova. E vola l’elicottero sopra il Campidoglio, circondato dai torpedoni in lotta contro il divieto di scorrazzare in centro, per vedere se va tutto bene ma va tutto male, e i romani si appenderebbero alle pale di quel velivolo o cavalcherebbero un drone pur di essere liberati dal caos e dalla paralisi. 

OSTAGGI DELLA CITTÀ
«Extra-terrestre portami via...», come nella famosa canzone di Eugenio Finardi. E invece qui si resta, e qui i cittadini si sentono ostaggi nella loro città. E pagano gli extra-costi di tutto. Dell’inefficienza amministrativa, anche se stavolta sui pullman la Raggi sta agendo bene; delle manifestazioni che si moltiplicano, s’intrecciano e lievitano nei torti e nelle ragioni delle piazze e delle corporazioni e ognuna (martedì i conducenti Ncc, mercoledì i tassisti, ieri gli autisti dei bus turistici e di nuovo anche gli Ncc in sit-in davanti al Senato) vuole occupare il palcoscenico Capitale perché niente lo equivale come forza e impatto anche se il teatro scoppia; dell’iper-tolleranza e dell’anarchia – ecco un gruppo di peruviani o di inti-illimani che si mette a suonare in mezzo al lungotevere e per rimuoverli c’è chi chiede soccorso alla Celere di Scelba ma purtroppo non c’è più - e il grande disordine nella grande bellezza ai cittadini costa non un prezzo soltanto ma due o tre. 

Roma infatti non è unicamente una metropoli, con tutti i problemi tipici delle grandi città e anche di più per il suo fascino, la sua storia e la sua arte, e non è solo una Capitale ma ne racchiude due. Ed entrambe capaci di attirare masse, turismo, protagonismo, estasi e ingorghi: quella dello Stato laico e quella della cristianità cattolica. «Non ne possiamo piùùùù!!!», sbotta-sbrocca una signora davanti a Sant’Andrea della Valle (ma qui dentro Cavaradossi non c’è più, e in queste condizioni non ci tornerebbe) quando un tassista le dice: «E che la devo carica’ io? Se prenda un Ncc, se so’ tanto bravi....».

Nella paralisi e nelle proteste, è un corpo a corpo di tutti contro tutti e tutti gravano su Roma e su chi ci vive o ci sopravvive: i conducenti delle auto a noleggio che si sentono vittime di restrizioni, i tassisti che se la prendono con gli Ncc, quelli dei torpedoni (mandati via dai carri attrezzi del Comune tra gli applausi dei quiriti) che non accettano di non poter più scorrazzare ovunque, i funzionari della metro che non si degnano neppure di mettere un cartello decente all’ingresso della fermata chiusa di piazza di Spagna ma compare soltanto un pezzo di carta da pizza o da pescheria con su scritto a pennarello (ma si vede e non si vede): «Closed, go to Flaminio». 

A piedi. Facendo a spallate con pedoni e torpedoni, e rischiando di cadere in una buca se non arriva l’esercito o l’Onu o l’Armata Rossa a ripararle. «Ma è giusto essere trattati così?», si sfoga una famigliola avventurandosi alla ricerca di una fermata funzionante. Ma Barberini, no. Repubblica, nemmeno. Cornelia è aperta: ma servirebbe un jet per arrivarci in meno di due ore. O almeno una legge speciale per Roma: perché sopra, sotto, dentro il collasso della città e la trappola in cui sono costretti i romani (orgogliosi di abitare questo paradiso ma con la pena di viverci in condizioni infernali) c’è la grande questione rimossa dello status particolare che le va riconosciuto: più soldi, più attenzione, più rango, più integrazione e più tutela governativa e più tutto, come accade per altre Capitali europee. 

DIRITTISMO<QA0>
Ma ecco, a Piazza Santi Apostoli, la manifestazione della Uil Scuola e la circolazione rallentata intorno. I passanti (si fa per dire, visto l’intasamento) non guardano di buon occhio questi aspiranti quota 100 che proclamano i propri «diritti inalienabili» e usano Roma come megafono e come passerella del dirittismo. Un indigeno chiede: «Da dove venite»?. «Da Taranto». «Ma se una casa ce l’avete, statevene a casa!». No, non si può.
Perché la Capitale è diventata il terreno di battaglia dei problemi nazionali e delle pretese di ognuno, e rappresenta la città che soffre per tutti senza un patriottico ringraziamento da parte di alcuno. Anzi, si recrimina pure: oddio, quanto è intasata questa città... Se c’è un privilegio tagliato (a Ncc, ai taxi, ai pullman, a chi merita di vederselo ridurre e a chi no) la reazione contro quel taglio viene caricata sulla spalle della vivibilità, quindi della libertà, dei romani. Che avranno pure assecondato - lassismo, indifferenza, mala-abitudine di sentirsi al di sopra dei processi degenerativi della storia - questo processo di implosione ma fermarlo è diventato un obbligo civile. 
© RIPRODUZIONE RISERVATA