Berlusconi e il video con Marrazzo e i trans: «Lo rifiutai, non so se qualcuno lo comprò»

Silvio Berlusconi
di Sara Menafra
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Giovedì 17 Settembre 2015, 22:51 - Ultimo aggiornamento: 19 Settembre, 10:15
«Ricordo che ero nella mia casa di Arcore e mia figlia Marina mi telefonò dicendomi che ad Alfonso Signorini, era stato offerto da un'agenzia fotografica un filmato che ritraeva l'allora governatore del Lazio, Piero Marrazzo, in situazioni imbarazzanti. Essendo sempre stato contrario all'utilizzo di siffatto materiale, le sconsigliai di acquistarlo».



Sono poche battute contenute in una lettera di tre pagine in tutto, il racconto dell’affare Marrazzo visto con gli occhi dell’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi. Richiesto come testimone da Carlo Taormina, difensore del carabiniere Antonio Tamburrino (tra i quattro accusati di aver ricattato l’allora governatore della Regione Lazio Piero Marrazzo con un video che lo ritraeva in compagnia di una trans e con della cocaina in bella vista) l’ex premier ha accettato di spedire al processo una testimonianza scritta in cui ribadisce per ben due volte: «Ritenni di avvertire il dottor Marrazzo perché potesse intervenire nel modo che riteneva più opportuno per impedire che altri pubblicassero il video».



Berlusconi precisa anche di «non aver visionato il filmato. Ne ho avuto solo un sommario racconto da mia figlia Marina. Vi erano, a suo dire, scene attinenti a momenti di vita privata riguardanti la sfera intima, oltre che la presenza di sostanze che potevano apparire quali stupefacenti. Il filmato secondo mia figlia era molto confuso e poteva nuocere gravemente all'immagine di Marrazzo. Ricordo che mia figlia Marina mi disse che il filmato era in vendita, ma non rammento la cifra». «Ovviamente - aggiunge - non ho posto in essere alcun approfondimento. Per quanto ne sapevo poteva trattarsi anche di un 'falso'. Avvertii, quindi, il dottor Marrazzo perché potesse, lui stesso, eseguire le verifiche del caso».



I GIORNALI

Il verbale di Silvio Berlusconi non cambia il quadro di quanto emerso nel corso dell’indagine, poi confermato in aula. Il video girato nel luglio del 2009 finì rapidamente nelle mani del fotografo freelance Massimiliano Scarfone che lo propose all’agenzia fotografica Photo Masi. I titolari dell’agenzia a Carmen Pizzutti e Domenico Masi il 7 agosto andarono a Roma per vedere il filmato e avviarono le trattative per l’acquisto. Ne fecero una copia e, tra gli altri, diedero il filmato anche ad Alfonso Signorini per sapere se ”Chi” fosse interessato all’acquisto. Il prezzo era da brivido: 200mla euro. Una copia sarebbe stata visionata anche dai giornalisti di Libero. Sul punto, però, l’ex premier è generico: «Non ricordo di averne parlato né con Feltri né con Belpietro, ma non posso escluderlo. Se ciò è avvenuto, verosimilmente, mi sarò limitato a suggerire loro di non acquistare il filmato in oggetto».



In aula ieri è stato anche ascoltato l’editore Domenico Bonifaci che aveva assunto come guardia giurata Carlo Tagliente, uno dei quattro carabinieri a giudizio. L’editore ha confermato che Tagliente era un suo uomo di fiducia che vedeva «tutti i giorni» eppure il militare non gli avrebbe mai proposto né accennato in alcuni modo all’esistenza del video con protagonista il governatore della Regione Lazio.
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