Autonomia, per Mattarella la strada è il Parlamento

Autonomia, per Mattarella la strada è il Parlamento
di Simone Canettieri
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Domenica 3 Marzo 2019, 01:54 - Ultimo aggiornamento: 4 Marzo, 08:44

Sull’Autonomia differenziata la strada maestra - e l’unica da seguire - rimane quella del Parlamento. Affinché le Camere siano protagoniste e non si limitino a un mero ruolo di indirizzo politico o di ratifica.

Una decina di giorni fa, i presidenti di Camera e Senato, Roberto Fico ed Elisabetta Casellati, sono usciti «incoraggiati» e «confortati» da un incontro al Quirinale. Il colloquio con il capo dello Stato Sergio Mattarella, secondo quanto trapela da fonti parlamentari, è servito a delineare un percorso per affrontare l’iter della riforma. Muovendosi in un doppio binario: rispettare le prerogative della Costituzione in materia, ma soprattutto, allo stesso tempo, tenere al centro, come bussola, l’unità del Paese, minata da quello che per il M5S, e non solo, rischia di essere uno «Spacca-Italia».

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LA MOSSA
Ed è stato proprio Fico a chiedere a Mattarella un parere sulla maniera più lineare e corretta per affrontare il dossier, soprattutto dal punto di vista delle procedure, trattandosi di un fatto inedito. Su questo punto - cruciale per l’iter della riforma - sono emerse dunque opinioni «convergenti» tra i presidenti delle Camere e quello della Repubblica. Mattarella si è ovviamente limitato a esprimere su richiesta il suo parere, ribadendo che le decisioni spettano a Fico e Casellati. Mai come in questo caso, infatti, i modi e i tempi d’intervento del Parlamento saranno fondamentali e dirimenti per l’esito della partita.

I FRONTI
Da parecchio tempo si fronteggiano due linee opposte, ormai uscite apiamente allo scoperto. Quella della Lega, esplicitata per bocca del governatore del Veneto Luca Zaia a nome di tutto lo stato maggiore del Carroccio a partire da Matteo Salvini, vorrebbe che il testo venisse discusso a Palazzo Madama e a Montecitorio con una semplice mozione che dia poi un indirizzo politico al presidente del Consiglio Conte per trattare con le tre regioni interessate. Al contrario il “partito del Parlamento” spinge per un’altra strada: una reale discussione di merito sui poteri che dallo Stato dovranno passare a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Con la possibilità dunque di emendare i tre testi. Con tutti i rischi del caso, per la Lega. E cioè che alla fine della discussione (e votazione) esca un provvedimento depotenziato, sotto i colpi degli agguati dei parlamentari grillini.

IL PUNTO
Per il M5S, che al Sud mantiene uno zoccolo duro di consensi, sembra essere un punto irrinunciabile. Il portabandiera di questa battaglia è proprio Fico (in asse con Luigi Di Maio), ma anche il ministro Barbara Lezzi la pensa così. Non a caso ha detto ieri al Messaggero parole abbastanza definitive: «Non è immaginabile che l’intesa che esce dal consiglio dei ministri non sia modificabile dal Parlamento. Comunque - ha dichiarato il ministro - su questo c’è una interlocuzione tra i presidenti delle Camere e il Capo dello Stato. Mi affido completamente a loro, sono loro che dovranno individuare il percorso». Anche dentro Forza Italia si fa largo il “partito del Parlamento”. Nonostante le spinte provenienti dal Nord (la presidente Casellati è veneta e la capogruppo al Senato Anna Maria Bernini è di Bologna), i timori azzurri sono ampi. Solo una settimana fa, il presidente dell’europarlamento Antonio Tajani ha spiegato sempre a questo giornale che le Autonomie così congegnate «sono un pasticcio e che nessuno parla del ruolo di Roma che deve crescere e non essere affatto penalizzata».

IL COLLE
Una serie di dubbi che il presidente Mattarella tiene bene a mente, al punto di aver indicato a Casellati e Fico la strada procedurale con la quale occorrerà approcciarsi alla legge.

Che difficilmente, come vuole la Lega, potrà rifarsi al terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione: l’approvazione delle Camere dell’intesa Stato-Regioni alla stregua di quella con le confessioni religiose. Può sembrare un caso, ma dopo l’incontro a tre al Quirinale anche il premier Giuseppe Conte inizia a ripetere questo concetto: «Siccome bisogna interloquire col Parlamento - dice riferendosi allo spartiacque temporale del voto di maggio - non so se prima o dopo le europee, l’importante è fare le cose per bene». E proprio in quel «fare le cose bene» c’è la strada indicata dal presidente della Repubblica: la discussione in Aula. 

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