La guerra delle mini sigle che bloccano il sistema

La guerra delle mini sigle che bloccano il sistema
di Simone Canettieri
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Venerdì 7 Luglio 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 18:06
ROMA Al mio segnale, scatenate l’inferno. Ed ecco che, puntuale come un orologio svizzero, l’adesione all’ennesimo sciopero diventa bulgara e si va tutti a piedi. Le dodici sigle sindacali che governano Atac, gran parte delle quali hanno gli stessi iscritti di un palazzo di un condominio romano, ormai conoscono le tecniche di guerriglia urbana alla perfezione. Sanno come mandare in tilt il sistema dei trasporti: una rete di 1.300 chilometri fragilissima. Esempio: basta che scioperino due dipendenti dei tre che si occupano del centro di controllo delle metro A e B per bloccare i treni della Capitale. Stesso discorso per gli autobus. Spesso inoltre, si crea anche un altro meccanismo tutto romano: la mobilitazione viene lanciata da una piccola sigla, poi per osmosi l’epidemia contagia il resto dei dipendenti.

I CONTI
Atac, la municipalizzata del Comune di Roma che balla sul baratro del default, paga ogni mese circa 11mila stipendi. Ci sono sindacati autonomi - è il caso Faisa-Confail e Cambiamenti - che insieme non raccolgono 800 iscritti. Sono più agguerriti, i primi a scatenare il famoso segnale, subito seguiti a ruota (solo metaforica) da tutti gli altri. E qui non si ferma è perduto. Perché a Roma una vertenza nazionale blocca tutto e a Milano, per lo stesso tema, no? Chi ha ricoperto incarichi di estrema responsabilità in Atac fino a poco tempo fa la racconta così: «Senso civico che manca». Un tic, figlio di un lassismo che si perpetua da anni e che supera in maniera bipartisan i colori politici. Non c’è da stupirsi se tra i vari esposti che l’ex direttore generale Marco Rettighieri portò in Procura ce n’è anche uno sui distacchi sindacali: nel 2015 furono concesse 111.664 ore di «agibilità sindacali», ben 11.283 più di quelle a disposizione. La lunga premessa serve a inquadrare un fenomeno che i romani conoscono solo nell’effetto pratico.

LA SVOLTA
Qualcosa però grazie alla rete è cambiato: ieri la pasionaria del sindacato Cambiamenti, una falange di 400 persone suppergiù, ha fatto i conti con la rabbia dei cittadini. Micaela Quintavalle è un’autista abituata a grandi arringhe su Facebook, fenomeno esploso un anno fa in campagna elettorale con il tifo per il M5S. Ma ieri mattina si è trovata a rispondere alle critiche degli utenti. Una pioggia di messaggi e di lamentele di chi si trovava a piedi per colpa della protesta. A cui lei ha risposto così: «Dovreste vergognarvi e lo dico con tutto l amore che ho per i cittadini». Per difendere il suo diritto davanti a quello enorme della collettività della Capita d’Italia, sempre la sindacalista-star ha anche aggiunto: «Vi augurate che ci licenzino ed ignorate che lavoriamo in condizioni di sicurezza zero... Con i bioritmi sconvolti... Con la schiena a pezzi e mancano solo stupro ed omicidio agli atti». Una difesa surreale ha allontanato sempre di più loro, «i cittadini», da lei, «casta» del mini-sindacato che esercita un potere di veto personale ma impattante su tutto. Una vicenda surreale a margine di una giornata pazzesca per la Capitale. Per la cronaca ieri l’ennesimo sciopero è costato ad Atac tra mancati introiti dei biglietti, costi da ammortizzare per gli autobus fermi e assicurazione del parco mezzi che continua a scorrere ugualmente 800mila euro. Non male per un’azienda che balla sul baratro del fallimento. Dove i sindacalisti con un pugno di iscritti insultano gli utenti, che intanto rimangono a piedi in un remake del celebre Alberto Sordi che saluta con il gesto dell’ombrello e pernacchia i lavoratori.
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