Prima del voto di ieri lei aveva twittato: «Non bisogna interferire con il lavoro del Parlamento e non si devono diffondere informazioni e demagogiche». Allarme inconsueto.
«Allarme necessario di fronte a un’aggressione in grande stile che non ha nulla a che vedere con le regole di base dell’azione lobbystica. Un salto di qualità preoccupante. Poi penso al contesto generale che non è dei migliori per la libera informazione. Penso agli interessi russi e americani a condizionare l’Europarlamento, a mettere in difficoltà la Ue».
Lei ha parlato di falsificazioni propagandistiche.
«Si vuole far passare l’idea che non remunerare l’opera dell’ingegno è un buon servizio alla democrazia. Si è parlato a sproposito di Link Tax. Se l’informazione non viene remunerata alla fine i giornali chiuderanno: vogliamo questo? Avere strumenti di informazione che funzionano e multinazionali del digitale che assumono le proprie responsabilità per ciò che viene diffuso attraverso le piattaforme, è decisivo. Se circolano notizie senza che qualcuno se ne assuma la responsabilità saranno davvero libere le nostre elezioni? Senza regole si finisce con lo scandalo Cambridge Analytica (dati di utenti Facebook usati per campagne elettorali, ndr)».
Senza tutela del diritto d’autore non c’è grande prospettiva per la produzione culturale, ma questo aspetto, per i critici della normativa, passa in secondo piano in nome della libertà di Internet. Qual è la sua posizione?
«La libertà del Web non c’entra nulla, al contrario vedo i rischi di un messaggio fortemente antidemocratico. Dicono di voler difendere il made in Italy per i prodotti agricoli o industriali e poi sono contrari a difendere il cinema italiano. Io voglio continuare a vedere film italiani, tedeschi, francesi, non voglio vedere solo film californiani. Per dirla con una battuta, da romano: tra Sordi e Jerry Lewis preferisco Sordi. Dicono di voler difendere la creatività italiana, poi si schierano a favore dell’omologazione culturale, che si contrasta anche con il copyright. Ripeto: non è in gioco una generica difesa della libertà, è sul tavolo la questione del predominio di alcune grandi multinazionali in un settore che ha massima importanza nella formazione del discorso pubblico».
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