Allarme giocattoli connessi a internet: «Possono favorire gli orchi digitali»

Allarme giocattoli connessi a internet: «Possono favorire gli orchi digitali»
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Lunedì 20 Novembre 2017, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 21 Novembre, 11:45
Li chiamano “smart-toys” e qualcuno li considera il cordone ombelicale che lega i bambini al futuro. Ma non è tutto oro quel che luccica e così le bambole dialoganti (quelle parlanti sono reminiscenze vintage) e gli orologi “intelligenti” interconnessi a Internet sono finiti nel mirino dell’Autorità Federale tedesca delle Comunicazioni e di quella norvegese a difesa di cittadini e consumatori. Se da una una parte si aggrega l’incantato stupore per lo strabiliante progresso tecnologico, dall’altro lato si addensano le preoccupazioni per le possibili violazioni della privacy e della sicurezza domestica.

GLI INTERVENTI
In questi giorni la “Bundesnetzagentur”, l’organismo che in Germania disciplina le telecomunicazioni, ha espresso un severo veto agli “smartwatch” destinati ai bimbi e ha chiesto ai genitori che li avevano già acquistati di non esitare – per precauzione – a distruggerli. Quei dispositivi risultano essere non solo controindicati ma addirittura rappresenterebbero una vera e propria minaccia per l’infanzia. Jochen Homann, che presiede tale Autorità, non ha esitato ad allertare i genitori, spiegando gli aspetti dannosi della “app” che permette loro di ascoltare a distanza cosa stiano facendo e dicendo i loro figli.

Questi strumenti (a quanto pare adoperati anche per controllare quel che accade nelle aule di scuola) possono essere oggetto di intrusioni fraudolente da parte di malintenzionati. Hacker, pedofili e molestatori di ogni sorta purtroppo sono in grado di sfruttare le potenzialità di questi apparati, facendo tesoro del microfono al polso dei minori e del Gps incorporato nel dispositivo. Chi riesce a scardinare la sicurezza dello smartwatch è in grado di trasformarsi in invisibile pedinatore di una eventuale vittima: la geolocalizzazione consente di individuare con estrema precisione dove si trova il bambino, mentre voci e rumori permettono di sapere se è da solo o in compagnia. Tutto il resto è fin troppo facile da immaginare.

Il report “#Watchout” pubblicato tre settimane fa dal ForbrukerRadet, che istituzionalmente si occupa della tutela dei consumatori in Norvegia, non lascia certo indifferenti. Le “debolezze” di questi dispositivi permettono a soggetti non autorizzati di accedere in diretta alle attività dei piccini e di acquisire tutte le informazioni “storiche” che riguardano spostamenti e cose personali riferite al passato. Non è affatto esclusa la possibilità che qualche “orco digitale” riesca a stabilire anche un contatto con il bimbo che indossa lo smartwatch: l’adescamento potrebbe superare a questo punto ogni normale barriera finora interposta per evitare brutte sorprese o drammatiche disavventure. Ogni iniziativa indebita naturalmente si verifica senza che il minore sia consapevole di essere spiato o tracciato da chi non dovrebbe. Il piccolo immagina piuttosto di essere costantemente seguito da mamma o papà. 

L’attenzione a questo genere di problema in altri Paesi è già alta. I drastici provvedimenti sono cominciati con il bambolotto “My Friend Cayla” e il robot “I-Que”, riconosciuti rischiosi anche perché le conversazioni da loro acquisite vengono trasmesse al server dell’azienda produttrice. La finalità dell’inoltro dei file audio acquisiti è – a scapito della privacy – quella di consentire all’industria di sviluppare in maniera sempre più mirata i prodotti per la propria clientela. Negli Usa, dove vige il Coppa (Children’s Online Privacy Protection Act) che fissa rigidi requisiti ai siti web e a chi offre servizi online ai minori di 13 anni e a chi ne raccoglie le relative informazioni, la consapevolezza c’è.

Lo dimostra il fatto che il 6 dicembre 2016 la Federal Trade Commission americana ha riconosciuto la pericolosità dei giocattoli che registrano le conversazioni dei bambini senza alcuna limitazione in ordine alla raccolta, all’uso e alla diffusione di tali informazioni. Il 17 luglio è scesa in campo anche l’Fbi che non ha esitato a sottolineare la gravità della circostanza. In Germania l’articolo 90 del Codice delle Comunicazioni vieta la produzione e la commercializzazione di strumenti che, idonei a registrare e ritrasmettere voci o immagini, abbiano le sembianze di un oggetto di uso quotidiano. Qualche riflessione in proposito probabilmente dovrà esser fatta anche dalle nostre parti.
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