Addio a Olmi, Tornatore: «Ermanno, una vita capolavoro»

Addio a Olmi, Tornatore: «Ermanno, una vita capolavoro»
di Gloria Satta
3 Minuti di Lettura
Martedì 8 Maggio 2018, 00:14
«Sarebbe troppo facile dire che, con la scomparsa di Ermanno Olmi, il cinema perde un maestro», dice Giuseppe Tornatore. «Di certo perde uno sguardo personale e molto moderno. Olmi ha girato film complessi, semplici e sempre diversi. Ma tutti illuminati dalla semplicità artigianale che rappresentava il suo modo di raccontare. Con l’umiltà degli inizi, quando realizzava i documentari e amava cogliere l’essenzialità delle cose». Olmi e Tornatore, un’amicizia nata negli anni Ottanta e cementata da incontri, conversazioni, scambi affettuosi e ininterrotti. Il regista premio Oscar la rievoca con il rimpianto di aver perso un collega di enorme valore e un punto di riferimento umano: «Aver conosciuto Ermanno», rivela, «è stato uno dei privilegi della mia carriera nel cinema».

Quando lo incontrò per la prima volta?
«Nel 1986, dopo aver diretto la mia opera prima Il Camorrista. Gli aveva parlato di me il produttore Goffredo Lombardo con cui Olmi aveva lavorato da giovane. Ma io lo conoscevo già attraverso i suoi film: Il posto, I fidanzati, L’albero degli zoccoli che vidi a Palermo, al cinema Nazionalino, appena finito il militare. Ero l’unico spettatore ma rimasi folgorato».

Che effetto le fece conoscere Olmi di persona?
«Non so se i film somiglino o no ai loro autori. Nel caso di Ermanno era proprio così. Nei suoi occhi coglievi la purezza dello sguardo con cui aveva concepito e realizzato i suoi lavori. Aveva un modo semplice e al tempo stesso profondo di affrontare i temi umani. E non dimenticava la verità del documentario, un genere che non ha mai abbandonato».

Riuscivate a vedervi spesso?
«Ciclicamente e ad ogni incontro Ermanno indovinava il mio stato d’animo. Una volta colse la mia inquietudine dovuta al lavoro e mi disse con il suo sorriso da eterno ragazzo: devi fare solo quello che ti piace. Infondeva coraggio e sicurezza con comprensione e discrezione. Se non l’avessi conosciuto, mai avrei potuto accostarlo al cinema. Troppo garbato, puro, allegro, innocente in un mondo di gente più furba e contorta...».

Anche perché conduceva una vita appartata?
«Proprio quel suo modo di vivere lontano dal cortile del cinema gli conferiva un’aura aristocratica. Pensava ad altro, lui. Quando fondò la scuola “Ipotesi Cinema” dimostrò di avere fiducia nelle nuove generazioni. Era generoso e proiettato nel futuro. Credeva che il cinema fosse un’arte non solo da praticare ma da trasmettere ai giovani».

Con lei si comportò da maestro, le diede dei consigli?
«No, si limitava a suggerirmi sorridendo di fare quello in cui credevo, ma non ebbe mai un atteggiamento paternalistico. Era un grande regista, indubbiamente un maestro ma si comportava come un amico più grande di me».

Sentiva di avere qualcosa in comune con lui?
«Non saprei... Mi sentirei gratificato se qualcuno cogliesse nel mio lavoro qualche analogia con la poetica di Olmi. Nei nostri primi incontri si dimostrava interessato alla mia attività giovanile di documentarista. E io sentivo la sua approvazione».

Poi lei lo intervistò nel documentario “L’ultimo Gattopardo” dedicato a Goffredo Lombardo.
«E scoprii, negli archivi impolverati della Titanus, la sceneggiatura del suo film mai realizzato ispirato al racconto di Mario Rigoni Stern Il soldato nella neve. “Oddio, cosa mi ricordi”, mi disse, “è stato un peccato non riuscire a farlo, ma non ho ottenuto i finanziamenti dai russi che mi consideravano troppo di destra”».

Come giudicò “Nuovo Cinema Paradiso”?
«Mi disse che il mio film gli era piaciuto molto: si ritrovava in quel mondo semplice».

L’ultima volta che vi siete incontrati?
«Un paio d’anni fa, mentre giravo La corrispondenza dalle parti di Asiago, andai a trovarlo. E sfiorammo il tema della fede. Ermanno sosteneva che Gesù non aveva fatto miracoli ma solo azioni semplicissime che agli altri sembravano prodigiose. Come la moltiplicazione dei pani e dei pesci: secondo lui, aveva solo convinto la gente a condividere le provviste».
 
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