Art 18, così i paletti al reintegro

Art 18, così i paletti al reintegro
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Venerdì 19 Dicembre 2014, 06:18
JOBS ACT
ROMA Varcheranno il portone di Palazzo Chigi con aspettative diverse, che spaziano dalla fiducia alla curiosità mista a diffidenza. Ad accomunare le parti sociali convocate oggi dal governo per una consultazione sui decreti attuativi del Jobs act, c'è però un'unica speranza: che non sia solo un'operazione di immagine mediatica, che il premier tenga in considerazione i suggerimenti costruttivi che verranno fuori dal giro di tavolo. In teoria la possibilità c'è. Il lavoro sui primi provvedimenti, in particolare quello che introduce per i nuovi assunti il contratto a tutele crescenti, è sì molto avanti. Anche perché Renzi è determinato a varare il relativo decreto nel consiglio dei ministri della vigilia di Natale.
Eppure non tutto è già scolpito. Sui punti più delicati - fattispecie per le quali il reintegro sarà ancora possibile nei casi di licenziamenti disciplinari illegittimi, entità dell'indennizzo - c'è in gioco l'equilibrio politico della maggioranza. E per il momento le diplomazie parallele ancora non sono arrivate a nessun accordo.
Il pomo della discordia resta quello di sempre: il reintegro sul posto di lavoro con la nuova normativa diventerà un'eccezione limitatissima oppure le maglie della riforma Fornero saranno ristrette solo un po'?
VIA LA DISCREZIONALITÀ

Come si ricorderà, la delega elimina la possibilità di reintegro per i licenziamenti per motivi economici, non modifica nulla per i casi di discriminazione e nulli, mentre per i disciplinari limita il reintegro a «specifiche fattispecie». Tocca appunto al decreto definirle. Secondo le ultime indiscrezioni la linea di demarcazione sarà l'insussistenza del fatto «materiale» contestato al lavoratore. Niente più discrezionalità da parte del giudice sulla gravità dell'addebito contestato: se il fatto è vero il licenziamento è legittimo, se è inventato si può disporre il reintegro. È un passo avanti rispetto alla legge Fornero, ma è un passo indietro rispetto ad altre ipotesi vagliate nei giorni scorsi, in particolare quella che limitava il reintegro ad accuse false di reati perseguibili d'ufficio, quindi particolarmente gravi. Lasciando l'indennizzo in tutti gli altri casi.
Le forze centriste, a partire da Ncd e Scelta civica, sono con il coltello tra i denti. La reintegrazione - insistono - deve essere limitata «ai soli casi di licenziamento discriminatorio o infamante». Con «un'ampia individuazione delle fattispecie, verrebbe meno l'attesa positiva che il Jobs act ha suscitato, sia nelle istituzioni internazionali che tra gli imprenditori italiani», avverte il presidente dei senatori di Area Popolare (Ncd-Udc) Maurizio Sacconi. Che rincara la dose: «Su questo decreto il Governo è a rischio». La minoranza Pd però non ci sta. «Dare la possibilità di licenziare per scarso rendimento sarebbe aberrante» dice Cesare Damiano.
Per quanto riguarda l'entità dell'indennizzo l'ipotesi più accreditata è quella di una cifra - defiscalizzata - pari a due mensilità per ogni anno di anzianità professionale fino a un massimo di 24. Resta però un grosso punto interrogativo sulla possibilità di concedere l'opzione all'impresa di non reintegrare il lavoratore che ha avuto una sentenza in tal senso dal giudice, corrispondendogli un super-indennizzo. La minoranza Pd si oppone fermamente.
Giusy Franzese
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