Trovati i resti di un bimbo morto 14 mila anni fa

Trovati i resti di un bimbo morto 14 mila anni fa
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Mercoledì 22 Ottobre 2014, 06:08
LA SCOPERTA
Lo chiamano “il trovatello” o anche “picciriddu”. Un soprannome dovuto alla mancanza di una fossa per la sepoltura. I suoi resti minuscoli (di 6 mesi) ma perfetti, risalgono a circa 12mila anni prima di Cristo. È il bimbo preistorico di Venafro, uno scheletro intatto lungo appena 45 centimetri. «Un miracolo della conservazione» per dirla con l'archeologa Diletta Colombo della Soprintendenza del Molise, visto che si tratta della testimonianza infantile di età Neolitica, così integra, più antica d'Italia. «La posizione è strana - riflette la Colombo - di solito nel neolitico i morti venivano deposti rannicchiati e sul lato sinistro, qui braccia e gambine sembrano distanziate». Sono gli amabili resti del giacimento Neolitico più vasto d'Italia, riaffiorato negli ultimi giorni durante gli scavi di archeologia preventiva per il metanodotto in località Tenuta di Nola di Venafro (Isernia). Gli studiosi si trovano di fronte ora ad una vastissima area frequentata nella preistoria. «È raro un sito così esteso risalente a quest'epoca», avverte la Colombo responsabile dello scavo che ieri ha annunciato le scoperte insieme al direttore per le antichità del Mibact Gino Famiglietti. Parliamo di XIII-XII millennio a.C. «Sono stati identificati due insediamenti umani a distanza di circa 800 metri l'uno dall'altro», racconta la Colombo. Il primo ha una stratigrafia molto complessa che l'archeologa definisce «un libro di storia dell'uomo, dalla preistoria all'età del bronzo, alla fase romana fino al tardo impero». Il paleo-suolo neolitico è ben conservato. Nerissimo, con i buchi per i pali delle capanne, focolari riempiti di ceramiche, residui di pasto, a conferma che la fase neolitica coincide con l'inizio dell'allevamento. Piccoli recinti e un fossato delimitano l'insediamento. L'altro villaggio è pura preistoria, con fondi di capanna, focolai, un silos, cioè un pozzo considerato come una “cassaforte” al cui interno sono conservate ceramiche, punte di selce, lame di ossidiana, non altro che le preziosità del villaggio. In entrambi i casi spiccano le sepolture, un adulto e il bimbo. «È la testimonianza più antica d'Italia di un bimbo all'interno del suo villaggio», avverte la Colombo. Tutte le ossa sono in connessione. Il teschio, le braccine, le costole, le gambine, dei piedi si conservano i talloni e le caviglie. La zolla di terra che avvolge i resti del bimbo è stata trasferita in laboratorio, dove saraà effettuato in sicurezza il micro-scavo.
Laura Larcan

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