Parla Vittorio

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Mercoledì 29 Ottobre 2014, 06:05
In quel lontano '45, noi figli Taviani non volevamo venire a Pisa. La nostra città di elezione era Firenze. (...) Pardo Roquez, il padrone di casa, era un signore solitario, un ebreo colto, riservato e giusto. Aveva da sempre una sola ossessione: i cani, qualsiasi cane lo avvicinasse lo terrorizzava. Non lasciava mai il suo bastone per difendersi. Forse lo aveva sempre saputo: un giorno i cani sarebbero davvero arrivati e lo avrebbero sbranato. Arrivarono. E quando le SS puntarono i mitra contro di lui e la sua gente, l'uomo dai modi riservati e gentili non tacque, gridò contro di loro e la loro infamia, alzò il suo bastone e li maledisse. Ecco, questo è stato il nostro meraviglioso, terribile arrivo a Pisa. Anche per questo Pisa sta dentro la nostra vita, la nostra storia, perché qui molto abbiamo vissuto e conosciuto. Abbiamo conosciuto quella energia dirompente che dagli schermi ci disvelava il nostro paese più ignorato, più povero e ora in rivolta. Il grande cinema neorealista era insieme un evento d'arte e l'indicazione, almeno per noi, di un modo di vivere in mezzo agli altri, insieme ad altri, contro altri. Pisa e la sua gente ci vennero incontro: con il grande Valentino, con Pistelli – partigiani e rossi; con i giornali, «La Nazione», «la Gazzetta», dove cominciammo a scrivere di film; con tre giovanotti in gamba (Mario Benvenuti, siamo qui!), produttori in erba, che ci misero per la prima volta in mano la macchina da presa, una piccola, molto piccola macchina da presa, con cui girammo uno sciopero a rovescio nelle campagne ed entrammo in una fabbrica di fiammiferi occupata, inseguiti dalla polizia. Che alla fine ci portò di peso di fronte al questore di Pisa: «So che vostro padre è una persona degna; so che voi invece siete due rossi; so che volete fare il cinema. Allora attenti a quel che vi dico: voi il cinema non lo farete mai, perché noi ve lo impediremo». Lo facemmo invece, come era possibile farlo allora in provincia: documentari, piccole sceneggiature, e tanta ansia, tanta impazienza. Finché ci rendemmo conto che Pisa era stato il nostro trampolino di lancio e ora potevamo, dovevamo partire per Roma...
Vittorio Taviani