Bradlee, il re degli scoop

Bradlee, il re degli scoop
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Giovedì 23 Ottobre 2014, 05:56
IL PERSONAGGIO
NEW YORK
Pochi giornalisti al mondo hanno avuto tanto peso da cambiare la storia. Uno di questi è stato Benjamin Crowninshield Bradlee, più noto come Ben Bradlee. L'uomo che ha pilotato il Washington Post negli anni dello scandalo del Watergate e durante la guerra del Vietnam si è spento la sera di martedì a 93 anni. Soffriva da anni di alzheimer. Le condoglianze si sono accumulate a casa della vedova, la giornalista Sally Quinn, che ha voluto ricordare come Ben fosse stato ottimista anche durante la sua malattia. L'ottimismo era stata una delle sue caratteristiche più importanti, unito a uno straordinario fiuto giornalistico e a un profondo patriottismo. Proprio lui, che contribuì a far cadere la presidenza di Richard Nixon, rivelandone gli abusi di potere, e che sbugiardò il Pentagono sulla condotta della guerra in Vietnam, ricordava sempre il proprio profondo amor di patria. Quando un lettore lo criticò come "antiamericano" per aver permesso delle indagini critiche sulla presidenza di Ronald Reagan, rispose - com'era sua abitudine - duramente: «Senti cretino, sul mio patriottismo posso farti vedere le dieci medaglie che ho conquistato in guerra. Ho fatto più io per questo Paese di te».
Difatti Ben Bradlee si era perfino laureato in soli tre anni anziché quattro, per potersi arruolare e andare in guerra. Dal 1942 al '46 combattè nella guerra del Pacifico e partecipò a 12 battaglie. Veniva dall'aristocrazia bancaria di Boston, la ricca e esclusiva classe dei "bramini", e si era laureato a Harvard, ma la Marina gli insegnò la vita dura, e l'importanza di non essere classista. Imparò allora ad accantonare il suo accento bostoniano e a familiarizzare con le persone più umili.
IL POPOLO
E quando, dopo qualche anno a Newsweek, approdò al Washington Post, improntò gli anni della sua dirigenza proprio a queste caratteristiche: saper parlare ai potenti con il loro accento sofisticato, ma essere vicino alla gente comune. Ben Bradlee aveva fiuto e si fidò presto dei giovani cronisti, ma a sua volta era stata Katharine Graham ad avere fiducia in lui: rimasta vedova dopo il suicidio del marito, la Graham aveva ereditato quello che nel 1963 era un quotidiano cittadino, con poche ambizioni nazionali. Bradlee ne divenne prima caporedattore centrale e poi direttore, e in totale lo pilotò per 26 anni. E lo trasformò completamente. Il Washington Post divenne sinonimo di autorevolezza e affidabilità. Raddoppiò le copie e gli uffici di corrispondenza. Fu il primo ad avere l'ombudsman, il garante dei lettori, e il primo ad avere il dorso "Style", presto imitato da tutti i giornali del mondo. Dopo la cura Bradlee, il WP era un giornale di respiro internazionale. Ma tutto ciò non sarebbe potuto succedere se Bradlee non avesse riportato due enormi successi giornalistici, nel 1971 e nel 1972: il primo riguarda i "Pentagon Papers" i documenti segreti del Pentagono che rivelavano le menzogne dette dal presidente Johnson nella conduzione della guerra in Vietnam, il secondo prese il nome di "Watergate" e portò alla dimissioni di Nixon. I Pentagon Papers erano cominciati a comparire sul New York Times, che però era stato obbligato da un'ingiunzione di un giudice a interromperne la pubblicazione. D'accordo con Katharine Graham, Ben Bradlee raccolse il testimone e continuò la pubblicazione. Insieme, i due quotidiani finirono davanti alla Corte Suprema, ottenendo un giudizio lampo e una storica vittoria in difesa della libertà di informazione. L'anno dopo, sempre in giugno, due giovani cronisti andarono a chiedergli se potevano indagare su uno strano fatto di cronaca. Bob Woodward e Carl Bernstein avevano poca esperienza e pochi contatti. Ma Bradlee dette loro spazio: «Capii che c'era dietro qualcosa: un gruppo di ispanici, il volto coperto da maschere, con walkie talkie, erano penetrati nottetempo negli uffici del partito democratico: perché erano lì? Che volevano fare?».
ABUSI
Cominciò così la vicenda che fruttò 400 articoli nell'arco di due anni e mezzo, e un Pulitzer, e che rivelò gli abusi di potere della presidenza di Richard Nixon, portando alle sue dimissioni nel 1974. Riassunta nell'appassionante libro All the President's Men scritto a quattro mani da Woodward e Bernstein, divenne poi anche un film pluripremiato, con Jason Robards nei panni di Bradlee e Robert Redford e Dustin Hoffman come Woodward e Berstein.
Eppure non tutto fu ben fatto nella gestione Bradlee: nel 1981, Bradlee passò una storia che vinse anche il Pulitzer, ma si rivelò inventata. Era firmata da Janet Cooke e raccontava di un bambino di 8 anni eroinomane. Bradlee restituì il Pulitzer e chiese all'ombudsman di indagare su cosa era andato storto. Accettò la responsabilità, ma non nascose di essere addolorato: secondo l'ombudsman era stata infatti la sua ansia di fare scoop che lo aveva accecato, la stessa ansia che lo aveva fatto vincere contro il Pentagono e un presidente dieci anni prima.
Anna Guaita
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