​Il nome Sgambaro vi dice qualcosa? L'intervista al patron: «Con le mani in pasta ho realizzato un sogno»

Pierantonio Sgambaro con il fratello minore Roberto
di Edoardo Pittalis
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Lunedì 21 Giugno 2021, 09:35 - Ultimo aggiornamento: 17:07

Parla Pierantonio Sgambaro, uno dei titolari del pastificio omonimo di Castello di Godego in provincia di Treviso «Se oggi un pugliese, un campano o un siciliano ci dice che la nostra produzione è buona, per noi è una medaglia».

Sulla cima Spitz Vezzena c'era il Forte austriaco che chiamavano l'occhio degli altopiani appoggiato direttamente alla roccia. Sulla vetta nell'agosto del 1915, contro i reticolati austriaci, caddero più di mille fanti della Brigata Treviso e al colonnello che chiedeva l'appoggio dell'artiglieria il settantenne generale degli Alpini Pasquale Oro rispose sdegnato: I reticolati si aprono con i denti e con il petto. I 1092 caduti erano tutti giovanissimi fanti arruolati il 24 maggio, avere denti e coraggio serviva a poco se le pinze da giardiniere in dotazione non tagliavano il filo spinato, mentre il nemico mitragliava dall'alto. Furono i militi della Sanità austriaca a raccogliere e seppellire i poveri fanti della Treviso. 


Oggi nello Spitz Vezzena ci sono i muri risparmiati dai cannoni e strade militari ancora bianche. È una cima che attira gli scalatori, difficile, ripidissima. Quando erano bambini, i fratelli Sgambaro ci andavano tutte le estati, Pierantonio si caricava sulle spalle il fratello più piccolo Roberto e saliva.

Poi cinquant'anni fa un loro amico scalatore precipitò. Non ci sono più tornati fino a gennaio scorso quando i due Sgambaro sono arrivati fin dove potevano mandare un saluto all'amico e fare pace con il passato. 


Pierantonio Sgambaro, 64 anni, nato a Marostica, pratica tutti gli sport immersi nella natura, di mestiere fa il produttore di pasta, la Sgambaro di Castello di Godego, con una seconda sede a Cerignola nelle Puglie, con molino e fabbrica. Produce 14 mila tonnellate di pasta all'anno, fattura 21 milioni di euro. Il formato più richiesto restano sempre gli spaghetti, a seguire le penne; in Israele vanno forte i fusilli. Nei giorni della pandemia gli Sgambaro sono usciti allo scoperto, i loro spot in tv con protagonista Bruno Barbieri, una star della cucina, li ha fatti conoscere in tutta Italia.


È servita la pubblicità televisiva?
«Avevamo qualcosa da dire, siamo stati i precursori del grano in filiera, siamo stati i primi in Italia ed era giusto farlo sapere. Anche per dare visibilità al marchio: non è sufficiente un prodotto eccellente se non è appoggiato da una comunicazione adeguata. Il fatto che oggi un pugliese, un campano o un siciliano ci dicano che la nostra pasta è buona, per noi è come una medaglia».


Lei ha realizzato il sogno da ragazzo?
«È vero, da adolescente sognavo di produrre la migliore pasta d'Italia, incameravo quello che i grandi maestri mugnai facevano e dicevano e pensavo di fare come loro. La Sgambaro è nata nel 1947 a Cittadella, l'ha fondata il nonno Tullio con mio padre Dino e lo zio. Eravamo in via Pozzetto sulla strada che va a Bassano, dove adesso c'è un negozio di biciclette. Si vede ancora la canna fumaria del vecchio pastificio che una volta era stato anche fornace. Era un'azienda locale, anche se guardava lontano: si era allargata a Godego rilevando una fabbrica con molino e aveva aperto una sede con silos a Cerignola. La filosofia dell'azienda attuale è nata allora con la predisposizione alla filiera del grano italiano e la collaborazione con gli agricoltori. All'inizio questo nostro atteggiamento dava fastidio, ma ce l'abbiamo fatta perché veniamo da San Martino. Tra Tombolo, Galliera e San Martino nasce gente con iniziativa che ha emigrato per fare affari e non si scoraggia».


Ma non è stato sempre tutto facile?
«Siamo cresciuti tra gli anni Settanta e Novanta passando momenti difficili, adottando scelte radicali. Ci siamo trasformati da azienda che puntava alla quantità a azienda che punta alla qualità e a dettare il cambiamento è stato il passaggio alla terza generazione. I nostri genitori erano stati bravi ad anticipare i tempi con la tecnologia e questa è stata la formula vincente sino agli anni Settanta che ha consentito di vincere la corsa tra pastifici. Da quattrocento che erano in tutta Italia, oggi sono ridotti a ottanta, una ventina di significativi e noi ci siamo dentro. Ma non sono stati altrettanto bravi a interpretare l'evoluzione del mercato che andava verso la grande distribuzione e hanno perso il treno. Anche questo ha accelerato nel 1995 l'ingresso della terza generazione: avevo messo mio padre davanti a una scelta precisa, mi ha dato la delega all'innovazione dicendomi Arrangiati. Cinque anni dopo con mio fratello abbiamo riunito in una sola famiglia la totalità delle quote».


Come è stato crescere con un padre così severo?
«Siamo tre fratelli, mamma Edda ha sempre stemperato con amorevolezza l'eccessiva severità di nostro padre. Ho studiato dai Salesiani di Godego, ho avuto una bella infanzia e una bella adolescenza. A 15 anni seguivo mio padre durante la raccolta del grano a Cerignola: ascoltavo le storie di vecchi commercianti e mediatori, gli aneddoti dei grandi mugnai e già fantasticavo che un giorno anche noi avremmo potuto fare una delle paste più buone d'Italia. Un'esperienza fondamentale, assieme a quella del servizio militare negli Alpini a Ugovizza: facevo istruttore di sci e fotografo, l'hobby della fotografia mi è rimasto. Da soldato semplice sono arrivato ad avere un ruolo che mi dava grande soddisfazione e mi sono reso conto che sarei stato un buon organizzatore. Così appena tornato ho incominciato a portare la mia visione dell'azienda. Mio fratello Roberto, più piccolo di sette anni, è entrato dopo. Nostra sorella Sandra è intervenuta con un progetto che porta avanti da trent'anni: le visite scolastiche organizzate, con 4000 bambini all'anno».


Come avete cambiato l'azienda del nonno?
«Ho iniziato con i miei viaggi in giro per il mondo, volevo controllare personalmente il grano imbarcato. I primi veri contatti li ho avuto in Francia che a livello di ricerca era più avanti di noi di vent'anni, mi hanno insegnato i francesi cos'era il grano buono. Poi in Australia e anche in Arizona dove c'è un grano particolare, il desert durum che cresce proprio quasi nel deserto. Lo spirito di arrivare a fare solo grano italiano è nato in questi viaggi, non volevo residui di pesticidi nemmeno dentro i limiti di legge. Oggi siamo alla quarta generazione che inizia. Non puoi etichettare il futuro di un figlio: non credo che tutti i figli di imprenditori abbiano la vocazione innata, c'è bisogno di grande passione e professionalità. Ho tre figlie, le ho lasciate libere di scegliere. Il denaro è importante, ma non può essere il solo obiettivo di un'impresa, è la conseguenza, ti serve per sostenere ed essere sostenibile. Questa sostenibilità va al consumatore, tutto ciò che spendo di analisi e ambiente premia il consumatore, anche come costo. Negli ultimi vent'anni abbiamo aperto ai prodotti innovativi, pasta al farro, al kamut, al grano senatore Cappelli che era un genetista che per primo in Italia ha fatto produrre grano duro con resa importante per ettaro. Il mondo bio rappresenta il 50% del nostro fatturato».


Solo il pastificio nella vita?
«Sono appena diventato nonno di Lorenzo e questo ha dato una prospettiva diversa alla mia vita. Amo la natura in tutte le sue espressioni, pratico tutti gli sport immersi nella natura: dallo sci alpino alla canoa. Ho la barca a vela a Grado. Viaggio in auto elettrica già da otto anni. Vivo in mezzo a un campo da golf, a Castelfranco, la casa è lì, ma non è ancora uno sport per me. Il vero sogno è quello di fare un gran viaggio in barca a vela, decidere di giorno in giorno dove andare. Ho un 44 piedi, si chiama Breva come il vento che spira sul lago di Como. Mi piacerebbe ripercorrere le rotte dei veneziani nel Mediterraneo». 

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