Profughi ucraini in casa, famiglie in bolletta: «Per ospitarli spendo mille euro al mese, lo Stato non c'è»

I profughi ospitati da una famiglia
di Marco Agrusti
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Giovedì 14 Aprile 2022, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 08:39

AZZANO DECIMO (PORDENONE) - L’esempio perfetto arriva da Azzano Decimo, dove c’è una famiglia risultata tra le prime ad aprire le porte di casa ai rifugiati provenienti dal conflitto scoppiato in Ucraina a fine febbraio. È un caso da prendere ad esempio, perché sovrapponibile a migliaia di altri simili in tutto il Friuli Venezia Giulia. Dario Sartor a inizio marzo ha scelto la strada della solidarietà agendo privatamente come molti altri e accogliendo tre profughi scappati dalla guerra scatenata dalla Russia di Putin. E quello che oggi racconta è il suo mese tipo tra costi che lievitano e aiuti pubblici inesistenti. 

Quanto costa ospitare i profughi ucraini?


«Come molti altri - racconta - i nostri tre ospiti non sono stati identificati come profughi di guerra. Quindi secondo la macchina dell’assistenza non abbiamo diritto a un sussidio», racconta. Ed è proprio così, perché il pocket money lo si da solo a chi ha scelto la strada delle Prefetture e degli alloggi pubblici. «Ci siamo mossi anche con gli assistenti sociali - spiega ancora Sartor -, ma abbiamo capito che di aiuti al momento non ce ne sono». Tre persone, come detto. E tanti costi da sostenere ogni giorno. «Si parte dal vitto, da garantire quotidianamente - racconta ancora il cittadino di Azzano Decimo -. Io ho scelto di accogliere tre persone dai 31 ai 37 anni e il peso economico inizia decisamente a sentirsi. Devo sostenere anche un affitto per l’alloggio, abbiamo comprato loro alcuni vestiti. Tutte azioni che abbiamo compiuto assolutamente volentieri, ma che ora iniziano a pesare sulle nostre tasche. Ci aspettavamo un aiuto diverso». I tre profughi ospitati privatamente ad Azzano Decimo si stanno inserendo nel tessuto sociale del Pordenonese e quindi del Friuli Venezia Giulia. «Ora, ad esempio, devono andare giornalmente a Pordenone per sostenere i corsi di italiano che durano due mesi. È un passaggio obbligato, ma non hanno ancora tutta la documentazione per poter fare l’abbonamento dell’autobus. Quindi dobbiamo pagare loro il trasporto ogni giorno». Il tutto, per tre, senza un aiuto a monte. 
E a fine mese a una famiglia qualunque che aveva scelto di aprire le porte di una casa di sua proprietà per aiutare una popolazione terrorizzata e in sofferenza i conti iniziano a non tornare. «Abbiamo fatto i calcoli - racconta ancora Dario Sartor - e vanno via circa mille euro al mese per le tre persone ospitate».

Un costo che sarebbe tranquillamente coperto dai 300 euro a profugo promessi dall’ordinanza della Protezione civile nazionale. Il punto è che quei soldi per ora sono rimasti solamente sulla carta. «Al sistema pubblico - ripete ancora Sartor - ora dico una sola cosa: pensate ad aiutarci. Noi siamo già in tre e ospitiamo altrettante persone. Abbiamo problemi legati al trasporto e le famiglie al giorno d’oggi sono già in crisi per i fatti loro». Il problema che si sottolinea in questo caso è meramente quello della differenza tra l’accoglienza privata e quella invece garantita dalla macchina pubblica. Con un particolare: in provincia di Pordenone, ad esempio, sono più di mille le persone ospitate dai privati. La stragrande maggioranza del totale. E sono famiglie tutte nella stessa situazione. Nonostante le difficoltà, però, Sartor non si arrende e continuerà a sostenere la nuova normalità dei suoi tre ospiti (due ragazzi e una ragazza) scappati dalla guerra in Ucraina. «Dopo il corso di italiano di due mesi che stanno sostenendo ora al Mattiussi di Pordenone - rivela l’azzanese - entreranno in contatto con alcuni clienti della mia azienda che hanno già manifestato l’intenzione di poterli assumere». Fino ad allora, però, i costi a carico della famiglia saranno ancora vivi.

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