PORDENONE - Ne hanno provate tante. Prima i certificati - praticamente sempre respinti - che contenevano oscure condizioni cliniche incompatibili con la vaccinazione. Poi la malattia temporanea, ma neanche quella impediva realmente (e legalmente) di poter raggiungere l'hub vaccinale per l'iniezione. Allora, spulciando tra i regolamenti, tra i no-vax si è diffusa una nuova moda: l'infermità temporanea a ridosso della data della vaccinazione. E da cosa sarebbe data, nei casi specifici, questa infermità o invalidità temporanea? Sempre più spesso da forme di lombosciatalgia (forte mal di schiena) o ancora da emicrania. In questo modo anche chi per lavorare deve sottostare all'obbligo vaccinale (si pensi ad esempio agli insegnanti), ottiene la possibilità - sempre temporanea - di far slittare l'appuntamento per l'iniezione e di continuare a percepire lo stipendio, senza incorrere nella sospensione. Ma le maglie dei controlli stanno per diventare più strette e su alcuni casi particolari si sono già posati gli occhi degli investigatori delle tre Aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia, dove sono arrivate le segnalazioni provenienti dalle scuole.
I trucchi dei no vax per non vaccinarsi
In questi mesi se ne sono viste di tutti i colori. E il mondo della scuola è stato tra i primi a testare gli stratagemmi dei no-vax per provare ad aggirare gli obblighi vaccinali. Prima i certificati di malattia, nel mezzo le richieste di aspettativa o i congedi (in quei casi però il pagamento dello stipendio è sospeso), infine l'ultimo trucco, quello dell'impedimento fisico che causa dolore e quindi infermità temporanea.
«Stanno arrivando tanti, troppo certificati che stabiliscono il differimento della vaccinazione - è l'allarme lanciato da Teresa Tassan Viol, presidente dell'Associazione nazionale presidi del Friuli Venezia Giulia -.
Certificati falsi
Ma l'ondata di certificati, presentati da lavoratori no-vax per aggirare l'obbligo di protezione nel mondo professionale, coinvolge anche chi questi certificati li firma, cioè chi constata dal punto di vista clinico l'esistenza di un dolore o di una patologia. Inevitabile, quindi, che l'attenzione si sposti dall'utente finale, cioè il datore di lavoro, al medico che materialmente mette il suo nome in calce a una dichiarazione.
E proprio su questo tema è intervenuto il presidente locale dell'Ordine dei medici, Guido Lucchini: «Siamo di fronte a un fenomeno complicato, perché ad esempio il mal di schiena è complicato da dimostrare dal punto di vista oggettivo. Si tratta di diagnosi soggettive. Corre però l'obbligo di ricordare a tutti gli associati, quindi ai medici, che la certificazione rappresenta sempre un atto pubblico e che in quel momento il professionista è un pubblico ufficiale. Non voglio pensare che ci siano ancora medici che firmano delle dichiarazioni non congrue. Richiamo l'intera categoria ai principi saldi che rappresentano ogni dottore».