Lavoro, mancano infermieri nelle case di riposo: 200 posti scoperti

Allarme infermieri nelle case di riposo: ne mancano 200
di Serena De Salvador
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Giovedì 21 Aprile 2022, 04:35 - Ultimo aggiornamento: 17:04

PADOVA - Sono introvabili. Tanto da ricevere proposte di assunzione ancor prima della laurea, o al più tardi 48 ore dopo. Eppure quella degli infermieri nella sanità padovana è una carenza cronica e pesantissima. Lo è soprattutto nelle residenze sanitarie assistenziali (Rsa), cioè le strutture per persone non autosufficienti. In provincia quelle per anziani sono 38 e il numero sale a 53 considerando quelle che si occupano anche di disabili. Nelle prime mancano oltre 150 infermieri, più altri 40 nelle seconde. Un dato sui cui è pesata l’emergenza Covid, ma che sembra destinato ad aggravarsi ulteriormente con la fine delle assunzioni del personale straniero, risultato fondamentale in questi ultimi anni.


IL PROBLEMA


«Nelle strutture per non autosufficienti contiamo 4.200 posti per anziani e 800 per disabili, a cui se ne aggiungono 2.500 nei centri diurni – spiega Maria Chiara Corti, direttrice dei Servizi sociosanitari dell’Ulss 6 – Sono luoghi in cui è obbligatorio erogare i servizi con personale specializzato e formato, ossia infermieri e operatori sociosanitari. È una forma di garanzia e controllo per la qualità dei servizi, che invece non viene richiesta per le oltre 70mila figure di badante che assistono i non autosufficienti in casa. Ebbene, nelle strutture l’Ulss deve garantire il numero minimo di infermieri e al momento la situazione è molto complessa».
Il problema ha radici profonde. «Inviai alla Regione la prima lettera su quest’emergenza nel 1998. In Italia abbiamo 5,8 infermieri ogni 100mila abitanti, una delle soglie più basse d’Europa (in Germania è 12,8)» commenta Roberto Volpe, presidente Unione regionale istituti per anziani (Uripa). «Prima del Covid si era trovato un equilibrio grazie all’impiego di infermieri stranieri, a cui viene riconosciuto il titolo di studio conseguito all’estero – fa eco Corti – Anche allora c’era una forte migrazione dei neolaureati che, dopo il primo incarico in casa di riposo, puntavano al trasferimento negli ospedali, ma la situazione era gestibile. Con la pandemia negli ospedali c’è stato un incredibile bisogno di personale, si è cominciato con le assunzioni straordinarie, si sono pescati gli infermieri dalle Rsa, ma anche lì nel frattempo il virus si è abbattuto con violenza. È esplosa la domanda di infermieri ma l’offerta si è fatta sempre più risicata».


GLI SCENARI


I bandi di assunzione per le case di risposo spesso vanno deserti, perché il lavoro ha poche prospettive di carriera e nelle realtà piccole evitare straordinari o riuscire a godere di malattie e maternità è più difficile che nei grandi ospedali. «Grazie a una deroga regionale stiamo tamponando con 30 infermieri dell’Ulss che inviamo nelle Rsa per qualche mese, sostituendoli di continuo – prosegue Corti – Il problema è che ne servirebbe il triplo di quanti ne vengono sfornati dall’Università, anche a causa del numero chiuso per iscriversi». E all’orizzonte non sembrano esserci spiragli di miglioramento. «Questo lavoro non attira più, neanche economicamente – aggiunge Michele Roveron, segretario generale Cisl Fp Padova – Il 31 dicembre scade la proroga per le assunzioni degli infermieri extracomunitari, che nel Padovano sono un centinaio. La Regione deve aprire un tavolo di confronto e modificare il modello della gestione sociosanitaria: le esigenze di oggi, anche per la tipologia degli ospiti, non sono più quelle di vent’anni fa.

Per non parlare dell’ulteriore problema rappresentato dagli infermieri no vax». «Urge tornare a investire su questa professione con una programmazione a lungo termine, facendo in modo che le università vadano a coprire il fabbisogno delle Ulss» conclude Volpe.

Da non sottovalutare è poi il fatto che lo spettro del Covid, pur a fronte della quasi totale campagna vaccinale compiuta nelle case di riposo, non è del tutto sparito. L’ultimo aggiornamento prima di Pasqua segnalava due focolai (di 15 e 12 anziani positivi) in altrettante strutture, mentre in un’altra decina c’erano pochi singoli per un totale di 57 anziani e 61 operatori contagiati.

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