Wagner a pezzi, Prigozhin vuole lasciare Bakhmut e tornare in Africa: ma la ritirata può diventare una trappola

Dopo il bagno di sangue, l'ex chef di Putin vuole tornare agli affari sporchi, ma gli ucraini sono sulle colline

Wagner a pezzi, Prigozhin ha il mal d'Africa: ma la ritirata da Bakhmut è un rischio
di Marco Ventura
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Lunedì 22 Maggio 2023, 22:57 - Ultimo aggiornamento: 23 Maggio, 10:16

L’immagine sarcastica e irridente consegnata dal capo dei mercenari del gruppo Wagner, Prigozhin, al suo canale preferito, Telegram, ritrae un cane in riva al mare che sorseggia una birra da una cannuccia. Ecco, scrive l’ex chef di Putin, signore della guerra e sedicente conquistatore di Bakhmut, il ritratto perfetto di un “wagneriano” alla fine della battaglia, anche se in realtà la battaglia non è esaurita e gli ucraini avanzano sui fianchi e secondo l’Isw, l’Institute for the study of war, stanno «accerchiando le truppe di Wagner». 

MISSIONE A METÀ
Prigozhin sa benissimo di non poter apparire come un trionfatore, davanti alle fosse delle migliaia e migliaia di suoi miliziani mandati al macello per un pugno di macerie.

I generali ucraini gli avevano profetizzato un futuro da topo in trappola, che non può avanzare e neppure arretrare: davanti ci sono le forze riorganizzate di Kiev, alle spalle i “fratelli coltelli” del ministero della Difesa russo. E allora, secondo un’analisi di Foreign Affairs, non gli resta che tornare al “mal d’Africa”. Al lavoro che gli è riuscito meglio: le operazioni di sicurezza (anche personale) in una sfilza di Stati africani a rischio di terrorismo jihadista e di rivoluzione interna: dal Mali al Burkina Faso, dal Sudan alla Repubblica centrafricana, ma anche in Mozambico e Zimbabwe, e se non armati di Kalashnikov, quanto meno di computer e hacker per indirizzare il voto nelle elezioni. Sempre in chiave antieuropea e antiamericana. Anzi, Prigozhin è stato abbastanza spregiudicato negli ultimi mesi, quando già sentiva odore di mancata vittoria a Bakhmut, da rivolgersi in più occasioni direttamente, con lettere pubbliche, alla Casa Bianca e proporre di unire le forze per la «sicurezza e la stabilità» del continente. E aggiungendo un astuto riferimento alle missioni umanitarie, ha varato il progetto “Wagner save Africa”. Ovvio, niente si fa per nulla. Tanto meno Prigozhin, che si fa “pagare” dai capi di Stato e di governo centrafricani e saheliani (vedi il Sudan) con le concessioni minerarie e lo sfruttamento dei ricchi giacimenti d’oro.

I PROSSIMI PASSI
Scrive Foreign Affairs che dal Sahel al Corno d’Africa e a Maputo, quello offerto da Wagner è un vero “ricatto faustiano”. Un pezzo d’anima in cambio di sicurezza. «Wagner sta facendo la capriola all’indietro verso l’Africa?». Se, infatti, in Ucraina Prigozhin ha dato fondo a tutte le potenzialità e ha ormai poco da offrire, non è comunque destinato a «scivolare nell’oscurità». E potrebbe spostare le sue unità mercenarie dal Donbass al Sahel, là da dove molti dei suoi “assoldati” provenivano. Per dirla con l’editorialista del “Telegraph”, Dominic Nicholls, una delle ragioni per cui i miliziani di Prigozhin non hanno sfondato a Bakhmut ma hanno dovuto avanzare metro per metro sul corpo dei propri compagni uccisi, è che «sono abituati a usare i fucili nella guerriglia urbana», il tipo di guerra che si fa in Africa, mentre «in Ucraina bisogna saper combattere coi carri armati in campo aperto».

Per questo, le truppe di Wagner avevano il disperato bisogno di una copertura efficace sui fianchi, venuta meno nel momento in cui il loro capo si è intestardito a scagliare invettive contro il ministro della Difesa, Shoigu. Argomenta l’Institute for the study of war che i mercenari si erano resi conto di essere al culmine della loro azione già a fine dicembre. «E adesso è improbabile che continuino a combattere oltre Bakhmut nello stato di degrado delle forze in cui si trovano». Niente più operazioni all’attacco. È l’ora di mettersi sulla difensiva, una guerra che non fa per i mercenari forgiati dal corpo a corpo aggressivo in Africa. La decisione americana di far rientrare l’organizzazione Wagner tra quelle criminali internazionali dovrebbe indurre un ritorno dell’Occidente in Africa, dove non solo Prigozhin ha portato avanti e consolidato gli interessi di Mosca (i propri e quelli di Putin, entrambi sensibili all’oro), ma si è sostituito alla soluzione d’ordine rappresentata fino a qualche anno fa dai legionari francesi. Il risiko ucraino allunga così i suoi tentacoli dal Mar Nero al Golfo di Aden. L’ambizione di Prigozhin non ha limiti o confini, lambisce addirittura l’America puntando a Haiti. Lo scenario ucraino si è rivelato una trappola mortale, la lotta per il Cremlino un miraggio. La multinazionale dell’orrore, “l’orchestra” come amano chiamarsi, si rintana nei luoghi del “primo amore”. L’Africa. 
 

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