Venezuela, Trump sposta gli equilibri ma saranno decisivi i militari

Venezuela, Trump sposta gli equilibri ma saranno decisivi i militari
di Flavio Pompetti
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Giovedì 24 Gennaio 2019, 10:06
NEW YORK Il Venezuela ha un'unica risorsa finanziaria: il petrolio. E un solo cliente di gran lunga maggioritario nell'acquisto dei 500 milioni di barili di greggio che produce ogni anno: gli Stati Uniti. È quindi a Washington che bisogna guardare per capire quale sarà la direzione che prenderà la crisi istituzionale aperta ieri dalla sfida. E a Washington ieri Donald Trump, in un breve scambio con i cronisti, ha ripetuto la frase che gli è consueta di fronte a situazioni di massima incertezza: «Vedremo, tutte le opzioni sono al momento aperte». La nota a firma di Trump emessa dalla Casa Bianca in mattinata ha registrato e convalidato quanto la piazza di Chacao a Caracas aveva deciso solo alcuni minuti prima. Il presidente degli Usa intende far sentire ai venezuelani il peso dell'appoggio che la sua amministrazione dà alla causa degli insorgenti, fino a far sognare un intervento diretto se sarà necessario.

LE SABBIE MOBILI
Ma davvero il presidente statunitense vuole farsi trascinare nel conflitto interno di un Paese sudamericano così complesso? Nella realtà un coinvolgimento degli Usa nelle sabbie mobili della crisi venezuelana sarebbe quanto di più lontano da quello che Trump ha proclamato finora nella sua strategia di politica estera. Più probabile è il rafforzamento di legami diplomatici tra la Casa Bianca e il movimento che sostiene Guaidó, e che era emerso nelle settimane che hanno preceduto gli eventi. Apprezzamento per il giovanissimo leader politico è stato immediatamente espresso dai leader dei gruppi a difesa per i diritti civili, come il presidente David Smilde del Washington Office on Latin America: «L'opposizione ha finalmente espresso il volto nuovo di un leader che ha coraggio, idee e forza per affermarle». Mentre a Caracas una delle sostenitrici nel partito di Maduro, Maria Iris Varela Rangel, ha twittato: «Guaidó, bambino stupido, ho già designato il numero della cella e scelto l'uniforme che indosserai».

MINACCE E INTERVENTI
Gli Usa non hanno mai gradito la svolta chavista, ma al di là degli avvertimenti e delle minacce non sono mai intervenuti per correggere la creazione dello Stato comunista che aveva fatto seguito alla rivoluzione bolivarista capitanata da Chavez. Mentre il paese marciava verso la nazionalizzazione delle imprese petrolifere, e mentre i pozzi di petrolio perdevano la metà della capacità estrattiva, Chavez prima e Maduro poi hanno incontrato altri ostacoli di politica internazionale sul loro percorso, ben più impegnativi e insidiosi dei moniti che arrivavano da Washington. Maduro si trova oggi a difendere la rivoluzione nel suo paese mentre due stati confinanti come la Colombia e il Brasile hanno cambiato direzione politica, e hanno scelto governi conservatori. Cuba, il suo più forte alleato storico, il Paese dal quale i venezuelani hanno importato per anni medici in cambio di petrolio, è impegnato in una sua fase di transizione politica, dall'ortodossia castrista all'apertura verso un capitalismo moderato e controllato dallo Stato, mentre deve fare i conti con il ritorno dell'embargo statunitense voluto da Trump.

NEL PALACIO DE MIRAFLORES
Insomma il Venezuela è oggi un paese isolato, almeno quanto lo è Nicolàs Maduro nel Palacio de Miraflores che è sede del suo ufficio, nel quale è stato costretto a fortificare il balcone che dà sulla piazza. L'economia del paese è a rotoli, e gli osservatori internazionali prevedono che potrebbe arrivare ad esaurire le risorse finanziarie nel giro di poche settimane. L'unico strumento di potere che era rimasto nelle sue mani e che gli ha permesso di rilanciare il sogno presidenziale per altri sei anni, è stato finora il controllo dell'esercito. Le sommosse degli ultimi giorni nelle caserme sembrano mostrare che anche questo ultimo velo di legittimità si è assottigliato, e rischia di lasciarlo nudo davanti al giudizio della storia.

 
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