Venezuela, emergenza sanitaria: urgente attivarsi di Elena Cattaneo

Venezuela, emergenza sanitaria: urgente attivarsi di Elena Cattaneo
di Elena Cattaneo *
4 Minuti di Lettura
Lunedì 25 Febbraio 2019, 12:02 - Ultimo aggiornamento: 12:04
Nelle ultime settimane pochi di noi sono rimasti indifferenti alle cronache che ci arrivano dal Venezuela. Attraverso i media abbiamo conosciuto la situazione devastante degli ospedali, dei servizi, dell'ordine pubblico. Il «precipitare degli eventi» sul fronte politico e istituzionale non è che l'estrema conseguenza di una situazione sociale ed economica da tempo in caduta libera. Chiesa, Onu e Ong negli ultimi giorni hanno denunciato che le forze di sicurezza stanno sequestrando medicine destinate a malati cronici ed arrestando responsabili di associazioni private di appoggio ai malati.

Da quasi trent'anni il Venezuela fa parte della mia vita. Lì la malattia di Huntington (anche nota come Ballo di San Vito), a cui il laboratorio che dirigo alla Statale di Milano dedica da sempre le sue ricerche, ha il suo epicentro. Nei villaggi di baracche sulle sponde del lago Maracaibo, al confine con la Colombia, che contano alcune migliaia di abitanti ciascuno, i malati sono centinaia. E il mio interesse per quel Paese, nato per ragioni scientifiche, si è da subito allargato ai temi sociali e umanitari.

Negli ultimi anni, collaborando con i medici e le associazioni che in Sud America si occupano di assistere malati e famiglie Huntington, ho avuto la possibilità di comprendere cosa voglia dire vivere in un Paese in cui si è perso il benessere economico (per quanto iniquamente distribuito) e in cui le libertà fondamentali sono state erose velocemente, fino a scolorire nella loro totale negazione.

«Un fiume di auto danneggiate, alcune prive di portiere o del cofano, si muove impazzito nelle strade di Caracas. È l'unica cosa che si può fare visto che la benzina, che costa un millesimo di euro, è uno dei pochi beni accessibili». Quando l'auto si guasta viene abbandonata ovunque ci si trovi. I pezzi di ricambio non esistono. Muoversi in sicurezza, in quel fiume, è difficile.

«Non scattare foto, non mettere mani o braccia fuori dal finestrino, non guardare quel palazzo, accelera, non fermarti per nessun motivo». I semafori sono distrutti o privi di corrente. Anche solo rallentare sarebbe pericoloso. Lungo quelle strade, durante gli oltre 120 giorni di proteste contro il governo, la sicurezza nazionale - mi spiega chi ha visto dal vivo quegli eventi - ha ucciso centinaia di giovani. Caracas ha anche una metropolitana, che però, come il resto, cade a pezzi.

Nei quartieri in cui sono nate le più convinte forme di opposizione al governo, l'acqua corrente è stata tagliata: da quasi un anno arriva solo due giorni a settimana e per mezz'ora al giorno. Il problema di procurarsi cibo da tempo accomuna tutta la popolazione. Il primo pensiero al mattino è «quanto costerà il riso oggi?», per poi passare tre, quattro, cinque ore in fila davanti a un negozio dove è in vendita ad una frazione di centesimo in meno. Scopro che i discorsi di persone che ci somigliano molto per età ed educazione riguardano questioni a noi completamente ignote. Ad esempio, discutono delle proteine che non assumono da mesi. E si interrogano se questa deprivazione avrà conseguenze sullo sviluppo fisico e cognitivo dei loro figli. Acquistare carne, latte e formaggio, infatti, è fuori discussione: troppo cari. Anche le uova sono inaccessibili - venti costano quanto un mese di salario medio. Quando si possono acquistare, sono lasciate ai più piccoli. Per un pollo, quel mese di stipendio non basta.

Ascoltando questi racconti mi chiedo quanti di noi possano davvero dire di sapere cosa significhi avere fame. Essere iscritti al partito di governo consente di avere il carnet della patria che, almeno in teoria, semplifica le cose. Ma, fuori dalle città, anche con la tessera è faticoso vivere. A non avere mai alcun problema sono invece i membri dei corpi di sicurezza nazionale.

Anche i medici venezuelani vivono una situazione difficile, fin dall'università. Il corso di studi dovrebbe durare sei anni ma ne richiede fino a dieci, per via delle sospensioni decise dal regime. La condizione dei malati in generale, e quindi anche dei malati di Huntington, è disperata. Esistono però associazioni di studenti delle facoltà di medicina, giovani medici che, a proprio rischio e volontariamente, raggiungono saltuariamente le famiglie Huntington confinate in zone povere e disperse. L'Huntington provoca seri disturbi del movimento e problemi psichiatrici, governabili, per alcuni aspetti, con i farmaci a nostra disposizione. Ma nelle strutture che un tempo erano ospedali i medici non hanno un'aspirina, un antibiotico, nemmeno una garza o un disinfettante. Un'infezione diventa una condanna.

Caracas era una città dinamica e ricca, seppure con grandi contraddizioni, non diversa da altre metropoli a noi familiari. Ma la classe media e il moderato benessere di cui disponeva sono evaporati. È complicato ma doveroso confrontarsi con l'idea che non importa quanto duramente e a lungo si sia combattuto per conquistare diritti e libertà e, su questi, costruire uno stato sociale, la ricchezza, la sicurezza, il benessere: se non si coltivano e proteggono costantemente con scelte collettive responsabili, anche a livello internazionale, sono sempre a rischio di essere sopraffatti.

Nella speranza che la comunità internazionale sappia individuare e promuovere un percorso che superi una situazione insostenibile, con alcuni colleghi e volontari siamo impegnati in un progetto di sostegno e cura delle famiglie Huntington e dei loro figli che vivono sulle sponde del lago Maracaibo. È il Proyecto Abrazos di factor-h.org, pur nella sproporzione tra bisogni e risorse disponibili, di questi tempi rischia di essere l'unico discrimine tra la cura e la sofferenza, tra la fame e la sopravvivenza, tra la vita e la morte.

* Docente alla Statale di Milano e Senatrice a vita
© RIPRODUZIONE RISERVATA