Trump ordina il ritiro dalla Siria: «L'Isis è sconfitto». Ma con il Pentagono è scontro

Trump ordina il ritiro dalla Siria: «L'Isis è sconfitto». Ma con il Pentagono è scontro
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Mercoledì 19 Dicembre 2018, 15:57 - Ultimo aggiornamento: 21 Dicembre, 00:22

Via dalla Siria entro 30 giorni. L'ordine è arrivato direttamente da Donald Trump, che vuole il ritiro «pieno e immediato» di tutte le truppe Usa nella regione orientale del Paese, circa duemila soldati. Il motivo lo spiega su Twitter: «Abbiamo sconfitto l'Isis, per la mia presidenza l'unica ragione per essere lì».
 


È un'altra delle promesse che il tycoon sta consegnando nelle mani del suo elettorato, sperando di distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dalle vicende giudiziarie che lo attanagliano. Anche se il prezzo rischia di essere quello di uno scontro duro e senza precedenti con il Pentagono, che potrebbe persino portare il segretario alla Difesa James Mattis all'addio. Il dipartimento da lui guidato è in subbuglio. Per giorni Mattis e i suoi più stretti collaboratori hanno tentato di dissuadere il presidente da una decisione così drastica. Di motivi ce ne sono tanti: abbandonare la Siria significherebbe innanzitutto lasciare campo libero a Russia e Iran, che inevitabilmente aumenterebbero la loro influenza nella regione.

E poi c'è l'Isis, che ancora è presente al confine con l'Iraq e che potrebbe riprendere vigore se gli Usa dovessero farsi da parte. Non a caso, dopo il tweet di Trump, il portavoce del Pentagono Dana White in una dichiarazione diffusa alla stampa ha puntualizzato: «La lotta all'Isis non è finita, anche se la coalizione ha liberato alcuni territori che erano in mano all'organizzazione». Ma un ritiro Usa, sottolineano al dipartimento della Difesa, si tradurrebbe anche in un vero e proprio tradimento delle milizie alleate curde che gli americani in quattro anni hanno affiancato, lasciandole in pasto a una Turchia decisa a sferrare un'offensiva contro di loro. Perché per Ankara i ribelli curdi armati e addestrati dagli Usa sono dei terroristi. Non è un caso quindi se le forze curdo-siriane abbiano già parlato di «pugnalata alla schiena», un'offesa ai tanti combattenti «che hanno versato in questi anni il loro sangue».

Erdogan avrebbe già avvisato dell'imminente attacco Trump, e quest'ultimo negli scambi degli ultimi giorni avrebbe addotto anche questo tra i motivi della sua improvvisa decisione: non mettere i soldati americani in pericolo nel caso di uno scontro con le forze turche.
Per molti osservatori però la clamorosa mossa del tycoon, considerando la tempistica, potrebbe essere proprio un diversivo in un momento in cui le indagini sul Russiagate, e non solo, stanno subendo un'accelerazione. E al Congresso c'è chi nel campo repubblicano critica aspramente il tycoon: questa è una decisione che avrebbe potuto prendere Barack Obama, non Donald Trump.

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