Ucraina, al confine tra bombe e spari sui civili. «Viviamo con la morte che ci insegue»

Viaggio nel clima irreale delle città del Donbass in attesa dell'attacco finale dei soldati russi

Ucraina, al confine tra bombe e spari sui civili. «Viviamo con la morte che ci insegue»
di Cristiano Tinazzi
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Mercoledì 23 Febbraio 2022, 06:06 - Ultimo aggiornamento: 25 Febbraio, 08:59

KRAMATORSK - Kramatorsk, città del Donbass, dopo essere stata riconquistata dalle forze armate ucraine nel luglio 2014, è diventata il capoluogo provvisorio della regione di Donetsk. Nulla sembra essere cambiato, almeno in apparenza, dopo il discorso del presidente Vladimir Putin di lunedì scorso e l'immediata invasione dell'esercito russo all'interno dei confini dell'Ucraina. La popolazione sembra essersi svegliata indifferente, come tutti gli altri giorni. Ma non ci sono state neanche manifestazioni di supporto pubbliche in favore del governo, come avvenute nelle scorse settimane.
CITTÀ SIMBOLO
Lo stesso a Sloviansk. Città questa, simbolica, perché è stata nel 2014, da aprile a luglio, il centro di comando di Igor Strelkov Girkin, ex colonnello dell'Fsb, i famigerati servizi segreti russi.

Ucraina, al confine tra bombe e spari

 

Igor Girkin per un breve periodo, dal maggio 2014 all'agosto dello stesso anno, ha ricoperto il ruolo di comandante delle Forze armate della Repubblica popolare di Donetsk e poi ministro della difesa della stessa.

Quando nel luglio dello stesso anno le forze armate ucraine, insieme alla Guardia nazionale, riprendono il controllo della cittadina, Girkin e i suoi uomini si ritirano, non senza lasciare dietro di loro una scia di morti, la maggior parte civili.

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Le autorità ucraine hanno scoperto infatti, a distanza di diversi anni l'una dall'altra, due fosse comuni piene di corpi. Il caso più eclatante, che tutti ricordano qui, riguarda il sequestro e l'omicidio sotto tortura di quattro membri della chiesa pentecostale locale. Ma Girkin è tristemente noto a livello internazionale principalmente per essere sul banco degli imputati all'Aja al processo per l'abbattimento del volo Malaysia Airlines 17, avvenuto il 17 luglio 2014, che ha causato la morte di 277 persone. «Qui, come a Kramatorsk, la gente preferisce rimanere nell'ombra, non esporsi», dice Edward Torsky, giornalista. «Ci sono state reazioni ufficiali da parte delle autorità, ma ancora nessun evento pubblico». È un'aria irreale quella che si respira qui, di attesa, per capire cosa vorrà fare il presidente russo nelle prossime ore. Vladimir Putin ha parlato ieri di confini che corrisponderebbero al resto della regione in mano al governo di Kiev, quindi ben oltre quelli delle due cosiddette repubbliche. Questa città come tante altre, nella peggiore delle ipotesi di una avanzata russa, potrebbe tornare quindi nelle mani dei separatisti. La paura per molti è che Putin voglia veramente prendersi tutto il Donbass, incominciando dalle città più vicine alla linea del fronte, lungo circa quattrocentocinquanta chilometri, come Shchastya, Mariupol, Avdivka, Sjeverodonetsk e molte altre.

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SPARI SUI CIVILI
«Voglio spendere le mie ultime ore con la mia famiglia, forse è l'ultimo giorno di pace che potremo avere insieme, siamo braccati dalla morte», dice un ragazzo, preoccupato per le decisioni che verranno prese nelle prossime ore dal capo del Cremlino. Kramatorsk oggi è distante dal fronte circa cinquanta chilometri, ma altre città come Avdivka e Marinka sono a ridosso della linea di contatto tra esercito e separatisti, spalleggiati ora da russi. Anche ad Avdivka il silenzio è irreale, nessun colpo a distanza, nessuna risposta, come spesso avviene. Le case esterne della città, palazzoni popolari tetri sventrati dalle cannonate, ti accolgono in un luogo diventato uno dei simboli della resistenza ucraina di fronte all'aggressività dell'espansionismo russo. Donetsk, la capitale di uno dei due stati-fantoccio riconosciuti dal Cremlino, è a circa cinque chilometri.
IL RACCONTO
«Tre giorni fa hanno colpito la città di Marinka, tutte le finestre nella casa dove mi trovavo hanno tremato, le esplosioni sono arrivate veramente vicino, è stato terribile. I filorussi hanno colpito in mezzo alla città, sparando sui civili. Lo hanno fatto deliberatamente, per provocare le forze armate ucraine e scatenare qualcosa di orribile. Ma va tutto bene, la vita continua, il mio ministero va avanti, Dio è buono, quindi, sì, tutto va come deve andare», dice Sasha, cinquantun anni, cappellano militare. Una delle pochissime donne pastore che operano lungo la linea di contatto e l'unica ad aver vissuto ininterrottamente gli ultimi otto anni in città e villaggi sotto il fuoco nemico. Mentre la sua auto si dirige lentamente, in mezzo alla pioggia, verso Avdivka, sulla primissima linea, si ferma in una base militare a circa tre chilometri dalle linee dei separatisti. Il mezzo non ha una targa come tutte le altre, non ha numeri o lettere, ma una semplice scritta in cirillico: Cappellano.

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