Trump, il summit con Kim: gli americani vogliono risultati concreti sulla denuclearizzazione

Donald Trump
di Anna Guaita
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Lunedì 25 Febbraio 2019, 19:25 - Ultimo aggiornamento: 21:15

NEW YORK – Che cosa significa esattamente “denuclearizzazione”? Quando Donald Trump e Kim Jong-un si sono incontrati a giungo del 2018, nello storico summit di Singapore, il presidente americano era giunto alla conclusione che il 35enne dittatore della Corea del nord si fosse impegnato a disfarsi delle armi nucleari, a “denuclearizzare la penisola”. In questo otto mesi tuttavia Pyongyang ha solo interrotto i test, ma ha continuato a produrre sufficiente materiale nucleare per armare altre testate missilistiche.
 
Dunque, il nuovo summit che comincia mercoledì ad Hanoi, in Vietnam, si pone come scopo per gli americani di chiarire una volta per tutte che “denuclearizzazione” significa non solo smettere i test, ma smettere la produzione di testate nucleari. Una squadra di specialisti Usa è già ad Hanoi da vari giorni, dove ha tenuto incontri con una corrispettiva squadra nord-coreana, questa volta con l’intenzione di offrire a Trump un documento chiaro di proposte da discutere con Kim.
 
Il dittatore della Corea del nord è arrivato ad Hanoi in treno, mentre Trump è partito questa mattina in aereo e arriverà domani, martedì. Il primo appuntamento fra i due sarà una cena, mercoledì sera.
 
I collaboratori temono che Trump, ansioso di riportarsi a casa un successo, si faccia prendere la mano e conceda più di quel che a sua volta Kim sarà disposto a dare in cambio. Nelle ultime settimane, ad esempio, Trump ha sostenuto che se la Corea del nord si libererà delle armi nucleari, potrà diventare una grande potenza economica. Kim risponde che per diventare una grande potenza economica bisogna che gli Usa tolgano le pesanti sanzioni che hanno applicato contro il Paese attraverso una risoluzione Onu. Gli esperti di sicurezza dell’Amministrazione non vogliono che Trump magari si faccia convincere a diminuire le sanzioni, senza che prima Kim abbia offerto passi concreti sulla strada della denuclearizzazione. Ad esempio, vorrebbero che Trump ottenga che i nord coreani elenchino i nomi di tutti gli scienziati nucleari del Paese, in modo che l’intelligence possa tenerli d’occhio.
 
Se infatti Trump da un anno parla di Kim con entusiasmo, e dice addirittura che fra lui e l’altro è nato «un grande amore», gli esperti continuano a percepire il regime come “una minaccia”. Lo ha dichiarato il segretario di Stato Mike Pompeo, domenica in tv. Lo hanno sostenuto una settimana fa anche il capo dell’intelligence Dan Coats, la direttrice della Cia Gina Haspel, e il capo delle forze Usa nella penisola coreana, il generale Robert Abrams. Tutti costoro riconoscono da un canto che la «tensione è diminuita», ma lamentano che «non si è visto nessun cambiamento» sulla via della denuclearizzazione.
 
E’ stato uno studio condotto dallo Stanford University Center for International Security, e guidato dall’ex direttore dei laboratori nucleari di Los Alamos, Siegfrid Hecker, a rivelare che l’assenza di test nucleari e missilistici nel 2018 non ha significato che il regime abbia interrotto la sua marcia nucleare: segretamente i suoi scienziati hanno continuato a produrre abbastanza materiale da creare altre sette bombe, che si aggiungono alle 30 che già il regime possiede.
 
Dunque se è vero che Pyongyang non ha perfezionato i missili balistici in grado di raggiungere gli Stati Uniti, è comunque vero che ha abbastanza bombe da poter attaccare i suoi vicini, alleati degli Usa, il Giappone e la Corea del sud. La tensione è diminuita per gli Usa, non per gli altri.


 

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