Terroristi degli anni di piombo liberi grazie ai giudici francesi, la Cassazione: niente estradizione. I 10 restano impuniti

Inutile l’impegno preso da Macron. La Corte: «Hanno diritto a una vita stabile»

Terroristi degli anni di piombo liberi grazie ai giudici francesi, la Cassazione: niente estradizione. I 10 restano impuniti
di Francesca Pierantozzi
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Martedì 28 Marzo 2023, 12:36 - Ultimo aggiornamento: 29 Marzo, 00:49

La Francia dice no all’Italia. No all’estradizione dei dieci ex terroristi, rifugiati oltralpe da trenta o quarant’anni, condannati in Italia a pene che vanno da cinque anni fino all’ergastolo, per omicidi, sequestri e aggressioni che risalgono agli Anni di piombo. Nonostante le parole di Emmanuel Macron, che aveva voluto riaprire la questione archiviata per decenni alla voce “dottrina Mitterrand”, e nonostante le prese di posizione a favore dell’estradizione espresse dal ministro della Giustizia francese Dupont Moretti, i giudici della Cassazione hanno confermato la sentenza della Chambre de l’Instruction del 29 giugno che aveva respinto le richieste di parte italiana per tutti. Questo è il risultato: Giorgio Pietrostefani (condannato per l’omicidio Calabresi) Roberta Cappelli (ergastolo per gli omicidi del generale Galvaligi, l’agente Granato e il vicequestore Vinci), Marina Petrella, (ergastolo per l’omicidio del generale Galvaligi e il sequestro del giudice D’Urso e dell’assessore democristiano Cirillo), e poi Enzo Calvitti, Narciso Manenti, Maurizio Di Marzio, Giovanni Alimonti, Sergio Tornaghi, Raffaele Ventura, Luigi Bergamin non devono essere consegnati alle autorità italiane. «Il parere sfavorevole alle richieste di estradizione è definitivo», si legge nel testo dei giudici francesi. 

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LE MOTIVAZIONI

Confermati dunque i motivi che avevano giustificato il no all’estradizione: tutto, secondo i giudici francesi, è legato al fatto che molti degli “estradabili” sono stati «giudicati in Italia senza aver avuto la possibilità di difendersi con un nuovo processo visto che la legge italiana non offre questa garanzia» e poi il fatto che «quasi tutti vivono da 25-40 anni in Francia, paese dove hanno ormai una situazione familiare stabile, si sono inseriti professionalmente e socialmente, rompendo qualsiasi legame con l’Italia: la loro estradizione sarebbe un danno sproporzionato al loro diritto al rispetto di una vita privata e familiare». 

LE REAZIONI

Motivazione che ha fatto reagire subito Mario Calabresi, il giornalista figlio del commissario Luigi assassinato nel 1972: «Era un’illusione aspettarsi qualcosa di diverso e (parere personale) vedere andare in carcere queste persone dopo decenni non ha per noi più senso. Ma c’è un dettaglio fastidioso e ipocrita: la Cassazione scrive che i rifugiati in Francia si sono costruiti da anni una situazione famigliare stabile e quindi l’estradizione avrebbe provocato un danno sproporzionato al loro diritto a una vita privata e famigliare. Ma pensate al danno sproporzionato che loro hanno fatto uccidendo dei mariti e padri di famiglia. E questo è ancora più vero perché da parte di nessuno di loro c’è mai stata una parola di ravvedimento, di solidarietà o di riparazione». 
Le uniche parole arrivate finora da parte dei fuoriusciti italiani sono quelli della loro avvocata Irene Terrel: «Dal punto di vista francese questa vicenda è assolutamente conclusa, tutti i ricorsi sono stati esauriti, la Cassazione ha formalizzato giudiziariamente l’asilo, la decisione è definitiva – ha detto Terrel - Da parte dei miei clienti e da parte mia personale c’è oggi un enorme sollievo.

Le persone non possono essere ridotte, fino alla fine dei loro giorni, ad atti che possono aver compiuto a 18 o 20 anni. Non bisogna attizzare le piaghe fino all’eternità, questo non significa non rispettare le vittime, che io rispetto». Ma per le vittime, per i loro figli, nipoti, fratelli e sorelle, ieri è stato un giorno di rabbia e dolore, con l’impressione che si chiuda una vicenda senza aver potuto voltare pagina. 

LA RABBIA

«La mia reazione alla sentenza? Sono dei disgraziati, perché non c’è giustizia così», ha commentato Adriano Sabbadin, figlio di Lino, il macellaio ucciso nel 1997 in Veneto ad opera dei Proletari Armati di Cesare Battisti: «Ci dicano allora, i giudici, quali sono i colpevoli? Ci sono dei morti sulla coscienza di queste persone». Il peggior contributo alla vicenda arriva per ora da Enrico Galmozzi, fondatore delle brigate combattenti di Prima Linea, condannato per gli omicidi dell’avvocato Pedenovi e del poliziotto Ciotta, che sui social poco dopo la sentenza scrive: «Quanto mi fa godere la Cassazione francese». 

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