La Svezia e i migranti, il modello porte aperte naufraga in tanti ghetti

La Svezia e i migranti, il modello porte aperte naufraga in tanti ghetti
di Mario Ajello e Andrea Bassi
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Mercoledì 10 Aprile 2019, 07:55 - Ultimo aggiornamento: 12:39

dai nostri inviati
STOCCOLMA «Io la mano non la posso stringere». La scena si svolge nella stanza di Annika Vadso, dirigente del Centro per l'immigrazione di una cittadina svedese dell'Ovest, Trollhattan. Un ragazzo islamista è appena stato ammesso ad uno stage in questi uffici. Viene accolto dalla Vadso con un sorriso. Lei porge la mano per stringere quella del nuovo arrivato e lui ritira la sua dicendo: «La mia religione mi vieta di avere contatti di questo tipo con una donna». Licenziato in tronco? Macché. La dirigente gli spiega che è soltanto buona educazione salutarsi stringendosi la mano. Lui non fa una piega e poco dopo denuncia la Vadso al Centro anti-discriminazioni. La storia non finisce qui. Il Comune, per non essere tacciato di razzismo e per chiudere velocemente il caso, paga a stretto giro 30 mila corone svedesi, circa 3.500 euro, allo stagista. Ecco, è una discriminazione, nella Svezia accecata dalla paura di venire considerata razzista, non permettere a un immigrato di discriminare una donna.

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OPPRESSI E OPPRESSORI
E così in questo Paese, insieme all'hockey sul ghiaccio, lo sport nazionale è diventato lo stupro di gruppo. Secondo i dati del Consiglio nazionale per la prevenzione del crimine, nel 2017 ci sono state 73 aggressioni sessuali per ogni 100 mila abitanti, il 24% in più che negli anni passati. Un'inchiesta della tv svedese Svt ha riportato come il 58% dei condannati per crimini sessuali sia nato fuori dai confini dell'Unione europea. Paulina Neuding, una giornalista svedese di fama internazionale, è stata accusata di xenofobia per aver collegato l'aumento dei crimini sessuali alla migrazione di massa. Spiega Angry Foreigner, blogger seguitissimo in Svezia, con milioni di visualizzazioni, e che a sua volta è un rifugiato di guerra (origini bosniache) arrivato da bambino nel Paese: «Qui c'è il pregiudizio che ogni svedese sia un oppressore e ogni immigrato sia un oppresso. Quando si scatenano le discussioni sull'immigrazione, non ha mai importanza chi ha ragione e chi ha torto. Il solo interrogarsi sui problemi dell'accoglienza è considerato razzismo». Si arriva all'assurdo, nel Paese dei sepolcri imbiancati, di parole come quelle dell'ex primo ministro conservatore Fredrik Reinfeldt: «La Svezia, senza l'influenza delle culture degli immigrati, sarebbe solo barbarie». Si tratta evidentemente di un politico che non ha mai preso la metro di Stoccolma.

Partendo dal centro, dopo sette stazioni, arrivati a Rissne comincia a cambiare il panorama urbano. Siamo a Scampia? Nella piazzetta di Rinkeby, le vedette squadrano i visitatori ed è impossibile per un bianco passare inosservato. La folla in cui si vende di tutto e i rumori che rimandano non alla calma silenziosa dei quartieri centrali ma ad atmosfere poco rassicuranti da Little Mogadiscio, così viene chiamato questa zona e un'altra è Little Damasco dominata dalla mafia siriana, precipitano gli ospiti in un mondo inaspettato a queste latitudini. E soprattutto negato dagli svedesi. Paradossali le parole di Mona Sahlin, ex leader dei socialdemocratici: «Gli svedesi devono essere integrati nella nuova Svezia multiculturale». Ma a Rinkeby non è facile adattarsi al modello Scampia o al modello Mogadiscio. Secondo l'ineffabile Sahlin: «Chi torna dalla jihad, dopo aver combattuto con l'Isis, va riabilitato dandogli una terapia, una casa e un lavoro».
Anche per tutto ciò, il 58% degli svedesi, come riportato da un sondaggio di Demoskop, ormai considera troppi gli immigrati. E va aggiunto che il modello economico inizia a scricchiolare. Non stiamo parlando tanto del welfare, che qui con un'espressione rassicurante e metaforica si chiama folkhemmet, la casa del popolo, ma anche delle abitazioni vere e proprie. L'arrivo massiccio dei migranti ha fatto esplodere drammaticamente la domanda di case. Fino a creare una bolla immobiliare che è diventata il principale rischio sistemico. I costi delle case si sono più che triplicati in un ventennio. I giovani, che comprano appartamenti dai valori gonfiati, stanno alimentando l'impennata del debito privato. Le famiglie hanno un passivo che ha raggiunto l'88% del prodotto interno, ma soprattutto il 186% del loro reddito, secondo l'ultimo rapporto della Commissione europea dello scorso febbraio. I mutui sono al 70% erogati a tasso variabile, così un aumento del costo del denaro rischia di mettere in ginocchio sia chi ha sottoscritto i prestiti sia le banche che li hanno erogati.

PRIORITÀ AI NUOVI ARRIVATI
Raccontano in un palazzone di 15 piani della periferia: «Per accedere alle case popolari con gli affitti calmierati, bisogna iscriversi a una lista di attesa che è diventata lunghissima. E gli immigrati, non si sa come, riescono sempre a ottenere il risultato». La casa, insomma, è il punto di frattura più traumatico. A Malmö, città in cui tecnicamente gli immigrati sono maggioranza e la carenza di alloggi è particolarmente grave, il Comune ha stabilito di dare la priorità ai cosiddetti nuovi arrivati svedesi e così ha deciso di acquistare 56 appartamenti per ospitarli. Il partito dei Democratici svedesi, che è più a destra della Lega di Salvini ed è in continua crescita, si è infuriato per questa vicenda ed è passato come sempre all'attacco: «I migranti vanno rimandati indietro». Ed è questo tipo di mood che, in vista delle elezioni europee, sta spingendo i Democratici in alto nei consensi. Gli ultimi sondaggi parlano di un'ulteriore crescita del partito sovranista (19,2%) e di un nuovo calo, oltre il record negativo delle ultime politiche che sta rendendo debolissimo il governo in carica, per i socialdemocratici: il 27,8 per cento.

MASCHERE AFRICANE
Gli scricchiolii del sistema si sentono molto forti anche nella sanità e nell'istruzione, che è stata un modello per effetto di quel metodo empirico che prevede, ad esempio, nelle ore di educazione civica, l'uscita degli alunni per abbracciare gli alberi. L'ipocrisia dell'accoglienza è quella che vieta alla tedesca Haribo di vendere in Svezia le Skipper mix, le famose liquirizie che rappresentano maschere africane, perché possono offendere la sensibilità di chi viene da quel continente. Ma è anche il luogo che, a dispetto della religione del politicamente corretto, ha finito per creare sessanta ghetti impenetrabili da parte delle autorità e della polizia, dove vige ormai - come ha ammesso lo stesso Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità - un «sistema giuridico parallelo». Alcuni mesi fa, un tribunale svedese si è pronunciato secondo i principi della sharia, quando la Corte ha deciso che una donna abusata da suo marito non poteva che mentire su queste violenze. E la giuria le ha anche rimproverato di aver coinvolto la polizia invece di risolvere il problema consultando la famiglia del marito. Ciò è tanto vero che l'Onu ha spedito una missione in alcuni di questi luoghi dell'apartheid, accusando la Svezia di razzismo. Proprio le parole che qui nessuno vuole sentirsi dire. Ma che fotografano la nuova realtà, tranne che agli occhi di chi non s'è mai spinto oltre la fermata Rissne della metro e preferisce conservare le false certezze del progressismo d'antan.
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