Sudan, colpo di stato a Khartoum: scontri esercito-milizie. «Italiani, restate a casa»

Spari e raid aerei, paramilitari filorussi tentano l’assalto al palazzo presidenziale

Colpo di stato a Khartoum, spari vicino all'ambasciata italiana: battaglia fra i generali che spodestarono Bashir. In azione milizie sostenute dal gruppo Wagner
di Vincenzo Giardina
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Sabato 15 Aprile 2023, 12:04 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 07:38

Comunque vada a finire in Sudan, Mohamed Hamdan Dagalo, soprannominato Hemeti, “piccolo Mohammed”, per lo sguardo da bambino, è un personaggio da film: da venditore di cammelli a proprietario di miniere d’oro, da generale sospettato di crimini di guerra a diplomatico con alleati in più continenti. Anche in Russia. Partiamo da lontano, ben prima degli scontri a fuoco e dei bombardamenti di ieri nel centro di Khartoum, con raffiche udite anche nei pressi dell’ambasciata italiana e l’appello a «restare a casa» rivolto ai connazionali dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. Dalle testimonianze la paura emerge chiaramente: «Si è cominciato a sparare alle nove del mattino, dobbiamo restare chiusi in casa, speriamo che finisca presto». Appelli perché si ponga fine agli scontri sono venuti dal governo italiano, che si unisce alla voce di Onu, Usa, Ue, Unione africana, Lega araba e Russia.

GLI SPARI
Per l’aeroporto, la sede della tv e il palazzo presidenziale si sono sparati addosso i soldati di due generali: da una parte Hemeti, comandante dei paramilitari delle Forze di intervento rapido, dall’altra Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito e di una giunta che promette di cedere il potere a un esecutivo composto da civili.

L’attrito fra esercito e paramilitari si stava aggravando da mesi bloccando la transizione basata sull’accordo-quadro firmato il 5 dicembre scorso. Al centro della contesa c’è infatti la riforma militare con l’esercito sudanese che vorrebbe integrare le Rsf nei propri ranghi già entro due anni mentre Dagalo vorrebbe mettersi a disposizione di un’autorità civile in un processo più lento. I paramilitari delle Forze di supporto rapido ora cercano di prendere il potere e di scalzare l’esercito in una prova di forza fatta di incursioni, sparatorie, raid aerei, mobilitazioni di blindati e annunci contrastanti. In serata la situazione, che intrappola almeno circa 150 italiani, sembrava ancora in bilico. E solo provvisorio sarebbe il bilancio di almeno tre civili uccisi e nove persone ferite, tra cui un ufficiale. Le forze armate di Al-Burhan, capo del Consiglio sovrano, hanno sostenuto di aver «riconquistato le aree vitali» e la situazione «sta per essere risolta».

LE DIFFICOLTÀ
L’antefatto risale al 2019, quando le manifestazioni per la democrazia avevano portato alla caduta di Omar al-Bashir, un altro generale, al potere per 30 anni, prima e dopo il conflitto in Darfur. Ed è da questa regione alla periferia del Sudan che comincia l’ascesa di Hemeti: le sue Forze di intervento rapido sono gli ex “janjaweed”, i cosiddetti “diavoli a cavallo”, milizie arabe partite all’assalto delle comunità nere ribelli nel 2003. Dopo la fase più aspra di quel conflitto Hemeti va ancora all’attacco, occupando spazi di potere e montagne piene d’oro. Tanto da diventare il più ricco commerciante d’oro del Sudan. L’oro è risorsa preziosa anche per la diplomazia. Che comincia proprio da Dubai, dove si vende l’oro sudanese e dove Hemeti mantiene tuttora ottimi rapporti. «Al-Burhan è gradito ad Egitto e Israele - spiega Alex de Waal, direttore della World Peace Foundation, al lavoro sul Sudan da quasi 40 anni - Il rivale Hemeti invece ha legami con gli Emirati e i paramilitari del gruppo russo Wagner». A confermarlo ci sono anche le denunce americane su affari auriferi del gruppo Wagner e del suo capo Evgenij Prigozhin. 

IL RUOLO UE
Bruxelles sembra aver trascurato l’affaire sudanese. E secondo De Waal, «proprio come gli Stati Uniti, l’Ue ha assegnato al dossier funzionari di basso rango non prestando l’attenzione dovuta». Un peccato, anche per l’Italia. Sia perché la sua cooperazione investe nei diritti umani in Sudan, con un portafoglio di programmi in corso da oltre cento milioni di euro, sia perché il Paese è sulla rotta migratoria che dal Corno d’Africa raggiunge il Mediterraneo. Accade che l’Unione Europa abbia finanziato Khartoum per gestire i flussi in arrivo e in partenza. E quei fondi sarebbero finiti anche alle Forze di Hemeti, schierate come guardie di frontiera: lo denuncia uno studio dell’ong americana Enough, secondo la quale «le politiche europee hanno legittimato in Sudan uno Stato delle milizie».
 

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