Il funzionario, ormai in pensione, era accusato di negligenza grave e omicidio colposo plurimo, in veste di responsabile del servizio di sicurezza e del comportamento brutale e disorganizzato imputato agli agenti sotto il suo comando nello stadio dello Sheffield, in Inghilterra, dove quel 5 aprile si affrontavano in campo neutro per una semifinale di Fa Cup il Liverpool e il Nottingham Forest.
Ma la corte - dopo che un primo processo si era chiuso con un nulla di fatto a causa del mancato accordo della giuria su un verdetto - ha accolto alla fine le tesi della difesa: secondo cui Duckenfield sarebbe stato oggetto di un'indagine «iniqua» e a scoppio ritardato, come una sorta di capro espiatorio chiamato a coprire colpe più diffuse.
Furibonda e disperata la reazione dei parenti, che hanno gridato alla «infamia».
Alcuni sono insorti durante la stessa lettura della sentenza. «Non può essere giusto», è sbottata fra gli altri Jenni Hicks, che in quella giornata perse due figlie adolescenti, Sarah e Vicki. «Novantasei persone uccise illegalmente e nessun responsabile, io accuso il sistema moralmente sbagliato di questo Paese e denuncio la vergogna di questa nazione», le ha fatto eco Margaret Aspinall, madre di un'altra vittima, un 18ennne. Il disastro di Hillsborough fu seguito da una radicale revisione delle regole negli stadi del Regno. Ma l'obbligo dei posti a sedere numerati fu introdotto solo negli anni '90.
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