Soleimani, Cia e Mossad dietro il blitz. «Sarà facile, si sente sicuro»

Soleimani, Cia e Mossad dietro il blitz. «Sarà facile, si sente sicuro»
di Flavio Pompetti
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Sabato 4 Gennaio 2020, 12:00 - Ultimo aggiornamento: 13:33

L'operazione che ha portato all'assassinio di Qassem Soleimani era stata decisa già all'inizio della settimana, quando Donald Trump ne ha informato il senatore Lindsay Graham durante una partita a golf nel Trump Club di West Palm Beach, ma l'eliminazione del generale era stata probabilmente autorizzata dal presidente degli Usa già tempo addietro, quando l'ipotesi di una escalation militare con l'Iran era già stata vagliata e approvata dalla Casa Bianca.

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La missione non presentava troppe incognite dal punto di vista tecnico logistico: Soleimani si muoveva con estrema disinvoltura a Baghdad così come in altre capitali del Medio Oriente, con la protezione della scorta, ma senza particolari accorgimenti per nascondere la sua presenza.

Due decenni di tessitura di alleanze internazionali gli avevano conferito una rilevanza di primo piano, che faceva sospettare ambizioni politiche per il futuro, a dispetto dello stile dimesso con il quale si annunciava come «un umile soldato» del suo paese.

SOTTO CONTROLLO
La Cia ha lavorato a stretto contatto con i servizi israeliani del Mossad in passato per monitorare i suoi spostamenti, e più di una volta lo ha inquadrato nel mirino di un possibile attentato. Diversi militari statunitensi sono sfilati davanti alle telecamere ieri per raccontare il momento in cui hanno ricevuto dai vertici della Difesa l'ordine di cancellare i piani d'azione già in atto per compiere l'assassinio. Ogni volta in passato aveva prevalso il timore che l'abbattimento di un bersaglio di tale portata avrebbe spinto l'Iran ad una reazione imprevedibile, vicina all'apertura di un fronte di guerra con gli Usa. Preoccupazioni simili avevano portato la Cia nel 2015 ad avvertire all'ultimo momento il regime di Teheran dei piani concepiti dall'intelligence israeliane per eliminare Soleimani.
Il Mossad contava di ucciderlo con un attacco nelle prossimità di Damasco, dove il capo dei Quds lavorava per rafforzare le difese del presidente siriano dopo la rivolta di parte della sua popolazione, ma la segnalazione statunitense vanificò l'attentato.

LA SVOLTA
La situazione è cambiata con l'arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca. Un segnale premonitore era arrivato lo scorso ottobre, sempre proveniente dalla sponda israeliana e dal Mossad. Il capo dell'agenzia Yossi Cohen aveva ammesso la possibilità di assassinare il generale iraniano nel corso di un'intervista: «Lui sa molto bene che il suo assassinio non è impossibile aveva detto riferendosi a Soleimani  La realtà è che con tutto il rispetto per la sua spavalda arroganza, non ha ancora commesso l'errore che lo metterà al centro della nostra illustre lista di bersagli pronti per l'eliminazione». L'occasione si è presentata giovedì notte, mentre Soleimani lasciava l'aeroporto di Baghdad, accompagnato dal vicecapo della sicurezza nazionale irachena Abu Mahdi al Mohandis, lo stesso che martedì aveva incitato le milizie di Kataib Ezbollah ad assediare l'ambasciata statunitense. Nelle 48 ore precedenti aerei militari erano giunti nella zona provenienti dagli Usa e da altre basi mediorientali, e 100 marines erano stati fatti arrivare dal Kuwait.

L'ORA X
I fitti radar e i satelliti che controllano da anni la zona devono aver letto i dati dell'aereo in arrivo, con a bordo il capo dei Quds. Il drone assassino era già piazzato ad attenderlo, assistito da alcuni elicotteri Apache che i testimoni dichiarano di aver visto volare sulla scena. Non c'è stato scampo: i missili hanno colpito con la precisione millimetrica che abbiamo imparato a conoscere, e hanno incendiato all'istante del due automobili. Del convoglio sono rimasti solo i resti inceneriti sulla strada delle due vetture, e il dettaglio di una mano insanguinata con il grosso anello rosso rubino, che il comandante esibiva all'anulare sinistro.

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