Shanghai, il lockdown ferma le fabbriche in Usa e Ue: 400 navi cargo in attesa al porto

Città blindata: impossibili carico e scarico delle merci. 500 mercantili davanti al porto. Filiere globali in pericolo, dai farmaci alle auto. Le consegne tardano e i prezzi salgono

Shanghai, il lockdown ferma fabbriche in Usa e Ue: 400 navi cargo in attesa al porto
di Diodato Pirone
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Giovedì 21 Aprile 2022, 00:28 - Ultimo aggiornamento: 15:09

Cinquecento navi in fila per entrare in un porto non si sono mai viste. Un ingorgo pantagruelico che sta facendo diminuire la produzione di farmaci in India (maggior produttore di medicine al mondo) e calare il numero di vetture sfornate dalle linee di montaggio americane e europee. Come se non bastasse la guerra in Ucraina, lo spettacolare collo di bottiglia che si è formato davanti allo scalo di Shanghai, il principale porto cinese e del mondo dove ogni anno transitano ben quattro milioni di tonnellate di merce, sta scatenando una sorta di tempesta perfetta sulle filiere produttive di mezzo mondo. La causa? Il Covid-19, cos’altro? Il virus in Cina continua a imperversare anche perché le autorità di Pechino mantengono una linea anti-Cosid durissima, articolata su un lockdown micidiale che ha bloccato nelle loro case 25 milioni di persone a Shangai (12 in realtà possono muoversi solo nel loro quartiere), nonostante una mortalità ridottissima di appena 7 morti da Omicron.

Effetto domino 

Risultato? La Cina sta facendo tremare le principali filiere produttive mondiali. Fra le 477 navi mercantili contate l’11 aprile davanti alla costa di Shanghai, a decine sono cariche di metalli raffinati e altre sono in attesa di caricare materiali pronti per la distribuzione commerciale: il blocco dello scarico e del carico sta innescando un gigantesco domino. I ritardi nelle consegne cominciano ad essere imprevedibili e stanno impedendo alle imprese di rispettare i termini di consegna dei beni lavorati o dei componenti e ai negozi di avere alcune merci in vetrina. L’intera logistica mondiale ne soffre, con treni che partono dai porti degli altri continenti mezzo vuoti, e prezzi dei containers e dei trasporti che salgono e scendono non più secondo la classica legge della domanda e dell’offerta ma in base a logiche imprevedibili legate alla loro semplice disponibilità. Per avere un’idea della fase di follia che affligge la logistica basta dire che affittare un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam fino all’estate scorsa costava non più di 2.000 dollari, poi nell’autunno le tariffe sono schizzate fino a 13.000 dollari e oggi oscillano su cifre analoghe.
E così trovare componenti per i farmaci sta cominciando ad essere un grosso grattacapo perché la Cina gestisce il 70% della produzione mondiale di molecole (il principio attivo di ogni medicina). Non solo. Il dramma della mancanza di semiconduttori per le auto sta toccando livelli impensabili. 
Non c’è stabilimento automobilistico in tutto il mondo, ma in particolare in Usa e in Europa, che non abbia dovuto sospendere la produzione per qualche settimana. Anche in Italia Stellantis ha dovuto fermare la produzione della mega-fabbrica di Melfi che produce le Jeep Compass e Renegade e la 500X, per mancanza di componenti elettronici.
La scarsezza di merci sta lentamente plasmando quella che gli economisti chiamano “crisi da offerta”. In pratica i beni prodotti dall’industria sono molto meno di quelli richiesti e questo fenomeno alimenta l’inflazione. Oltre all’aumento dei prezzi delle materie prime, stanno lievitando ad esempio i listini delle automobili perché la domanda resta forte ma nessun costruttore riesce a produrre di più e così la pressione della concorrenza sui prezzi si è dissolta, mentre gli utili delle aziende automobilistiche non sono mai stati così pingui.
Un po’ ovunque nelle fabbriche di mezzo mondo sta spuntando la scritta “chiuso per virus”.

Il che è ancora più paradossale se si pensa che sia l’Europa che gli Stati Uniti stanno rapidamente abbandonando la fase dell’emergenza Covid.

I due motivi

Già, ma perché la Cina continua a tenere la linea dei lockdown pesanti che in Occidente è stata abbandonata da tempo? Gli osservatori forniscono due spiegazioni. La prima è tecnica: il vaccino cinese, il Sinovac, anche se somministrato a larga parte della popolazione, è molto meno efficace degli analoghi prodotti occidentali. La seconda spiegazione è legata all’imminente rielezione di Xi Jinping alla guida del Paese. Un passaggio che nella mentalità cinese è sinonimo di stabilità. Dunque cambiare linea sulla gestione dei contagi non è ammesso perché sinonimo di instabilità: la popolazione potrebbe convincersi che la linea dura tenuta fin dall’inizio del contagio non era corretta. Con conseguenze imprevedibili in un Paese che sostiene la superiorità del proprio solido sistema politico rispetto alle continue oscillazioni delle democrazie occidentali. La globalizzazione, che tanto ha aiutato la Cina, per ora è stata messa in stand by. Per ora.

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