Scuola, la Corea del Sud e la beffa dei negazionisti

Scuola, la Corea del Sud e la beffa dei negazionisti
di Pio D'Emilia
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Martedì 15 Settembre 2020, 16:28

Pur tra mille difficoltà, oggi in Italia riaprono le scuole. Ed è giusto che sia così, quindi anziché infierire sulle inevitabili lacune, sulle difficoltà che ancora ci sono e che probabilmente dureranno per un po’, varrebbe la pena per una volta guardare al lato positivo, e dare atto al nostro governo di aver ancora una volta, e pur tra tanti errori e incertezze, dato prova di non essere tra i peggiori, al mondo, a gestire questa maledetta pandemia. Perché altrove non è che le cose vadano molto meglio, anzi. E non parliamo del resto dell’Europa o degli Stati Uniti,ma dell’Asia Orientale. A parte la Cina, dove tutto è iniziato e sembra sia davvero tutto finito, tant’è che la vita – scuole comprese – ha ripreso a scorrere quasi normalmente ed il Giappone, dove a causa di un numero irrisorio di tamponi (2000 al giorno, noi ne facciamo 90.000…) non si è ancora capito se la pandemia sia stata miracolosamente evitata, oppure se sia ancora in corso e la vera emergenza debba ancora arrivare, magari proprio quando si dovrebbero tenere le Olimpiadi, il Paese da osservare attentamente è la Corea del Sud. Paese che da secondo focolaio del mondo, con oltre mille contagiati al giorno lo scorso febbraio, è riuscito ad controllare il virus senza imporre alcun lockdown, grazie ad un virtuoso mix di autorevolezza e competenza delle varie istituzioni, efficienza burocratica, tecnologie avanzatissime e condivise e attiva, diffusa e convinta collaborazione dei cittadini. Un circolo virtuoso che ha consentito ad un Paese che a inizio pandemia era il secondo al mondo per numero di contagi, dopo la Cina (e prima di essere superato, a fine febbraio, proprio dall’Italia) ad avere, su una popolazione di poco inferiore a quella dell’Italia (50 milioni) “appena” 310 morti e meno di 20 mila contagi.

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E sarebbero molti di meno, se non ci fossero stati dei gruppi di fanatici negazionisti – per lo più appartenenti a piccole sette religiose – che con il loro rifiuto di rispettare le regole (compreso l’uso delle mascherine) hanno provocato, e continuano a provocare, nuovi focolai. Il che dimostra che anche in un Paese dove l’ordine pubblico ed il senso civico fanno parte della cultura nazionale e non debbono essere imposti con la forza o con leggi e decreti “liberticidi”, pochi imbecilli riescano a vanificare l’impegno ed il sacrificio di milioni di persone. Un rischio che, parliamoci chiaro, esiste anche in Italia. E’ infatti proprio a causa degli ultimi focolai provocati da alcuni gruppi di “negazionisti” e all’interno di alcune aziende che non avevano rispettato le regole che il governo coreano ha deciso, un paio di settimane fa, di chiudere (di nuovo) tutte le scuole (fatta eccezione per gli studenti dell’ultimo anno di liceo, che a novembre debbono sostenere il difficilissimo suneung, l’esame nazionale di ammissione all’università, vero punto di “svolta” della vita, per i giovani coreani). Ma anche in questo caso la Corea ci dimostra che con un minimo di organizzazione, cultura “digitale” e collaborazione sociale ci si può tranquillamente adattare ai ritmi, non sempre prevedibili, della pandemia. Così come uffici, locali pubblici, bar e ristoranti, anche le scuole si possono e si debbono aprire e chiudere a seconda della situazione dei contagi. Ed i protocolli adottati in Italia, nel caso di alunni che denunciano dei sintomi o risultano positivi, sono molto simili a quelli coreani, più che ragionevoli. Diverso il discorso per alcuni elementi “tecnici” (uso di mascherine e/o visiere, schermi divisori, banchi singoli): sia in Corea che in Giappone le mascherine sono un accessorio tradizionale, specie in alcuni periodi dell’anno, mentre i banchi singoli, soprattutto alle elementari e medie sono la norma. Quello che mancherà agli studenti, soprattutto ai più piccoli, sarà la possibilità di socializzare durante i pasti, che ora debbono essere rigorosamente consumati sul proprio banco e senza poter parlare con i compagni, ed il “rito”delle “pulizie”. Le scuole giapponesi non hanno i bidelli: le aule vengono pulite ogni giorno, a fine lezioni, dagli alunni sotto la “supervisione” dei maestri. Un “rito” che ora però è stato assegnato, per ovvimotivi, agli insegnanti, con grande dispiacere dei bambini e, immaginiamo, poco entusiasmo dei docenti. © RIPRODUZIONE RISERVATA La rivoluzione possibile per i giovani della Capitale INCENDI NEGLI USA OLTRE

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