Razzo cinese, altri 4 lanci entro il 2022: «Pechino non ha previsto un sistema di controllo»

L'incubo dei razzi cinesi, altri 4 nel prossimo anno
di Enzo Vitale
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Domenica 9 Maggio 2021, 07:09 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 05:52

Un mostro dal peso di oltre 30 tonnellate e alto 18 metri ha messo in subbuglio l'intero pianeta. Pochi giorni fa la forza dei suoi motori gli ha permesso di portare in orbita il primo modulo del terzo Palazzo Celeste, la Tiangong 3, un progetto che prevede di realizzare un laboratorio orbitante modulare per astronauti e anche per Xuntian, un telescopio simile ad Hubble. Ma dalla Cina, si sa, trapela poco, anzi pochissimo e l'unica previsione possibile sul numero dei futuri lanci è quella che riguarda l'ultimazione della Stazione spaziale: dai quattro agli otto secondo gli esperti, entro il 2022.

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IL LANCIO
Lunga Marcia 5b, questo il nome del razzo cinese impazzito (i cinesi lo chiamano più semplicemente Changzheng 5) era stato lanciato lo scorso 29 aprile dal poligono di Wenchang, riuscendo a posizionare regolarmente in orbita il primo e importante tassello della Tiangong 3.

Poi il ritorno incontrollato e i pericoli di una pioggia di detriti per il nostro pianeta.

 


Si tratta dello stesso modello di razzo che l'anno passato, in due differenti operazioni, aveva scagliato verso Marte la missione Tianwen-1 (luglio) e quella dell'esplorazione lunare robotica della sonda Chang'e 5 (novembre). Lanciatori di alto, altissimo livello, punta di diamante di un programma spaziale molto ambizioso. La Cina prevede infatti una serie di missioni che riguardano la Luna, Marte ma soprattutto un piano di estrazione di risorse dagli asteroidi. Per quanto riguarda il nostro satellite naturale il ruolino di marcia prevede la costruzione di una stazione di ricerca robotica vicino al Polo sud e, con la missione Chang'e 8, la realizzazione di un insediamento umano.
E allora cosa c'è che non va nei lanciatori made in Pechino? Secondo Paolo D'Angelo, storico dello spazio, il problema è che questi mostri risentono di problemi alla base. «Diciamo pure - commenta - che non è la prima volta che capita un caso del genere. A causare questo tipo di grana è il fatto che la tecnologia spaziale cinese non ha previsto per i lanciatori Lunga Marcia una benché minima forma di controllo».


L'anno scorso un altro bestione del genere, sempre made in China, causò una pioggia di detriti in Africa, sulle spiagge della Costa d'Avorio ma, per fortuna, senza alcuna conseguenza per le persone.
«Si tratta di un vettore costituito principalmente da due grossi stadi con quattro razzi laterali - continua D'Angelo -. Il core centrale è quello che spinge il carico nello spazio ma non arriva a distanze enormi e quando scende sotto la quota di 180/190 chilometri dalla Terra non è più controllabile. A poco a poco si avvicina sempre di più all'atmosfera con i risultati che tutto ciò comporta».
Nella maggior parte dei casi tali effetti sono prevedibili: distruzione e disintegrazione del materiale, ma quando si ha a che fare con oggetti di queste dimensioni, il finale non è del tutto prevedibile.
«L'involucro del razzo sicuramente è destinato a frantumarsi in toto - precisa lo storico - perché costituito da metalli che si fondono a quelle temperature di contatto, ma per pezzi come il motore, realizzati per resistere, è un terno a lotto: c'è la possibilità che qualche frammento arrivi sulla superficie terrestre con esiti non proprio felici».

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L'ASTRONAUTA
«In realtà a cadere sono anche i razzi degli altri - ribatte Umberto Guidoni, uno dei tre astronauti italiani che ha volato a bordo dello Shuttle - ricordiamo il caso del satellite russo Cosmos 954 che nel gennaio del 78 mise in allarme l'intero Canada in quanto era alimentato da combustibile nucleare. Si schiantò in una zona dei North West Territories contaminando un'area di oltre 120 mila chilometri quadrati. Nel caso di questi giorni, va detto che il lanciatore cinese finito in un'orbita non stabile non procurerà problemi del genere. Del resto - chiosa Guidoni- a parte i lanciatori di Space X, tutti gli altri finiscono in malo modo ma con un minimo di controllo al rientro. Ricordo che circa 130 serbatoi dello Shuttle si trovano ancora nei fondali dell'Oceano Indiano».
enzo.vitale@ilmessaggero.it
 

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