Qatargate, il dissidente marocchino Mohamed Dihani: «Così Rabat mi chiese di fare la spia in Italia»

«In carcere quattro anni perché non ho collaborato. Nelle istituzioni Ue 500 agenti infiltrati. Intercettano i politici, anche Macron»

Qatargate, il dissidente marocchino Mohamed Dihani: «Così Rabat mi chiese di fare la spia in Italia»
di Valeria Di Corrado
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Domenica 18 Dicembre 2022, 00:01 - Ultimo aggiornamento: 00:16

«Sono stato rapito, torturato e tenuto in un carcere segreto dell’intelligence marocchina. A un certo punto mi hanno anche offerto dei soldi per lavorare con loro dall’Italia. Io ho rifiutato e allora mi hanno lasciato 7 mesi in una prigione sotto terra. Grazie alla giustizia italiana, però, sono riuscito a tornare qui». L’inchiesta della Procura federale belga, che sta smascherando la rete di corruzione diffusa all’interno e all’esterno del Parlamento europeo, non stupisce affatto Mohamed Dihani, soprattutto quando si parla della capacità di infiltrazione degli 007 di Rabat. L’attivista sahrawi e difensore dei diritti umani, il 22 luglio scorso, dopo una lunga battaglia legale combattuta grazie al supporto di Amnesty International, è riuscito ad entrare sul territorio italiano per poter chiedere la protezione internazionale. 

È stato il tribunale di Roma, con un’ordinanza del 15 luglio, a disporre che la Farnesina, tramite l’ambasciata a Tunisi (dove in quel momento si trovava Dihani), gli rilasciasse immediatamente il visto per consentire il suo ingresso in Italia entro 7 giorni.

Fino a quel momento, infatti, gli era stato negato sulla base del fatto che il nominativo dell’attivista era stato inserito nel 2010 nella banca dati del Sistema di informazione Schengen (Sis) «in quanto presunto terrorista che avrebbe pianificato attentati sul territorio italiano, allo Stato Vaticano e in Danimarca». Peccato che non sia mai stato accusato di tali reati; per questo il giudice civile Silvia Albano aveva chiesto le ragioni della segnalazione al ministero degli Interni, il quale si era limitato a rispondere che si basava su «corrispondenza qualificata come riservata». Ma «la classifica “riservato” non può essere opposta all’autorità giudiziaria», davanti alla quale «l’unico segreto opponibile è quello di Stato», si legge nell’ordinanza del Tribunale di Roma.

È stata l’intelligence marocchina ad accusarla di terrorismo?
«Non l’ho ancora capito con certezza, ma fanno così con gli attivisti sahrawi, per tenerli prigionieri in Marocco. La domandata inquietante è: come fa il Marocco ad avere relazioni con chi gestisce il Sis. Riescono a convincere gli Stati europei a inserire o disinserire le persone nella black-list Schengen. Nel 2012 gli 007 giravano per le carceri dove c’erano i presunti terroristi e proponevano di liberarli subito a patto di andare in Siria. A me, nonostante dovessi scontare altri 8 anni, mi proposero di pagarmi per stare zitto e collaborare con loro».

Quando è stato arrestato?
«Io provengo da una famiglia di attivisti e da un quartiere di lotta e resistenza. La prima volta che sono stato arrestato, nel 1996, davanti la mia scuola elementare, avevo solo 10 anni. Nel ‘98 di nuovo, poi altre 4 volte. L’ultima era nel 2010: sono stato rapito dall’intelligence marocchina e imprigionato per 7 mesi in un carcere segreto “Tmara”. Per 4 anni sono stata in una cella di 2 metri per 1,5 e non potevo vedere neanche il sole. Sono stato sottoposto a vari tipi di tortura, come dimostra anche una relazione della Asl Roma 1 firmata dai medici legali Carlo Bracci ed Erica Bacchio».

Quanto sono potenti gli 007 di Rabat?
«Il Marocco è ovunque, noi Sarhawi lo chiamiamo il “polpo serpente”. Il direttore dei servizi segreti marocchini è venuto in Italia più di una volta per parlare di sospetti terroristi, ma so che in ballo c’era di più. Io l’ho denunciato anche dalla prigionia e avevo chiesto all’Italia di controllare tutti i viaggi sospetti fatte dal 2010 al 2016 in Marocco da parlamentari italiani, eurodeputati italiani, associazioni e istituti di ricerca che si rifiutavano di ascoltare le voci sarhawi, trasmettendo solo quelle filo-governative. Ufficialmente venivano per motivi di turismo, ma erano viaggi spesati. Lo spyware “Pegasus” è stato usato come braccio armato degli 007 marocchini per ricattare l’Europa e il resto del mondo. Hanno spiato per tre anni giornalisti, politici algerini e francesi: uno dei cellulari del presidente Emmanuel Macron appare nell’elenco dei 50.000 numeri di telefono che sono stati presi di mira da questo software spia. Nel 2019 è stato pubblicato un primo documento dalla Commissione europea, e quest’anno un secondo, che invita tutti i politici a prestare attenzione, denunciando il fatto che ci sono più di 500 agenti segreti marocchini infiltrati nelle istituzioni dell’Ue. Gli eurodeputati vengono controllati a loro insaputa dagli 007».

Anche i migranti vengono usati come arma di ricatto?
«Sì, certo. Se per esempio il ministro degli Esteri spagnolo dice di voler sostenere la causa del popolo sahrawi, il Marocco apre le frontiere in massa e i migranti si riversano sulle coste spagnole. C’è un bosco vicino alla città di Nadur dove tengono recluse decine di migliaia di migranti in condizioni terribili, li utilizzano anche nel trasporto della droga in Europa».

Come mai per Rabat è fondamentale avere il controllo del Sahara Occidentale?
«Quella terra è pienissima di risorse ed è la via più sicura tra l’Europa e tutto il resto dell’Africa. Rabat non può sopravvivere con il Sahara occidentale indipendente, per questo è disposto a corrompere tutti. Qualche mese fa l’Ue ha stanziato 500 mila euro a favore del Marocco per le questioni legate all’immigrazione, ma siamo sicuri che arriveranno alle istituzioni competenti? Oppure verranno utilizzati per pagare le tangenti nelle istituzioni comunitarie? Mi faccio queste domande perché conosco il sistema marocchino dall’interno e sono convinto che uscirà vincente anche da questo scandalo, perché ricatta tutti gli Stati. Il mio obiettivo ere venire in Italia e smascherare questo, ma il “polpo serpente” incredibilmente è uscito proprio da Bruxelles. Ora mi sento davvero libero».

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