La vendetta di Vladimir Putin non si è fatta attendere. Alle 6.47 di ieri mattina, due giorni dopo l’esplosione del camion bomba sul ponte Kerch che collega la Crimea alla Russia, a Kiev è scattata l’allerta aerea e attorno alle 8 è partita la rappresaglia. Le forze russe hanno lanciato 83 missili e utilizzato 17 droni per attaccare la capitale e altre città, da Leopoli a Dnipro, da Kharkiv a Odessa. Quattordici le regioni colpite, almeno 19 morti e 97 feriti. Le immagini trasmesse da Kiev mostrano che, per Mosca, il confine tra obiettivi sensibili e cittadini inermi è inesistente. I missili hanno centrato palazzi, bruciato auto con civili a bordo, un gigantesco cratere si è aperto proprio accanto alle altalene di un parco giochi.
LINEA DURA
È la firma di Sergei Surovikin, neo generale delle forze armate al quale Putin si affida per risollevare le sorti dell’occupazione e rispondere alle aspre critiche interne all’esercito. Non per nulla è soprannominato «generale Armageddon», per la sua capacità di azioni non convenzionali e brutali in un conflitto. Fonti citate dal sito Meduza rivelano che è stato lui a pianificare il raid con missili su larga scala contro le infrastrutture, incluse quelle civili. «Surovikin non è sentimentale», commentano. Il suo lavoro, a quanto pare, è stato apprezzato: «Generale Surovikin, già ti amiamo, vai avanti così», esultano entusiasti i blogger russi sostenitori della linea dura. Anche i falchi del Cremlino apprezzano. «La prima puntata è andata in onda, ce ne saranno altre», promette via Telegram il vicepresidente del Consiglio di sicurezza Dmitry Medvedev. «L’obiettivo delle nostre future azioni dovrebbe essere il completo smantellamento del regime politico ucraino». Anche l’oltranzista leader ceceno Ramzan Kadyrov è «soddisfatto al cento per cento del modo in cui l’operazione militare speciale si sta conducendo» e consiglia al presidente ucraino di fuggire: «Ti avevamo avvertito, Zelensky, che la Russia non aveva ancora iniziato.
COME A FEBBRAIO
A Kiev, simbolo della rinascita ucraina, dopo mesi di silenzio suonano le sirene, le macerie invadono le strade e gli abitanti si riparano nei cunicoli della metropolitana. Per farsi forza, stretti uno all’altro, cantano l’inno nazionale. «Sembra di essere tornati a febbraio. Adesso però non c’è paura, ma rabbia», dice alla Bbc la parlamentare Inna Sovsun, nel rifugio con il figlio di 10 anni. Yevhen Petrov ieri mattina alle 9 stava andando al lavoro: «Ho sentito due esplosioni molto forti, non lontano. Il fumo si alzava dal centro della città». E subito gli è stato chiaro: questa volta l’obiettivo erano i civili, perché tutti i luoghi bersaglio sono attraversati da strade che portano a uffici e centri commerciali. «Non hanno colpito infrastrutture - insiste - ma hanno centrato un parco giochi per bambini».