La denuncia arriva da Aidaa, una associazione animalista che ha a cuore la questione e che vuole porre l'accento su certe lavorazioni di pellame che arrivano da alcuni Paesi dell'Est.
D'altro canto, le condizioni di molti allevamenti destinati a cani, gatti, volpi ed a chissà cos'altro, sono divenute note da anni. Animali detenuti in gabbie piccolissime, all'aperto e al gelo. Così che, quegli animali, se non muoiono prima di stenti, vengono semplicemente abbattuti e scuoiati barbaramente. Non prima, però, che possano aver infoltito quella preziosa pelliccia che, domani, potrebbe servire a scaldare il nostro collo, le nostre mani. Tutto, in cambio di pochi spiccioli. Veri e propri lager che, spesso, sono occupati anche da animali raccolti nelle strade. Come fosse semplice, consueta normalità. E allora, niente di più facile che aprire quelle gabbie, riempirle ed aspettare. Più difficile, semmai, sarà il passo successivo. Introdurre quello che resta degli animali, in Paesi come il nostro, dove tali pratiche sono vietate, non deve essere semplice. Anche se, i dati di Aidaa e le migliaia di capi di dubbia fattura, appesi quotidianamente nei mercati e mercatini, potrebbero suggerire il contrario. Come fare a riconoscere una pelliccia non sintetica e di dubbia provenienza? Aidaa e Humane Society, una delle organizzazioni statunitensi che si occupa di salvaguardia animale, mettono in guardia gli acquirenti in caso di "etichette che riportano nomi particolari quali Corsak, Dogskin, cane selvatico, Finracoon, Gae wolf" e tutta una serie di nomignoli che, dicono, si potrebbero tradurre nel più familiare Fido. Nomi che sembrano usciti dal cilindro dell'ennesimo Cappellaio Matto di turno senza scrupoli. In ogni caso e nel dubbio, meglio astenersi dall'acquisto, dicono. Cani e gatti, ringrazieranno.
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