Ospedale-trincea, dove i malati sono bersagli: «Sparano sulle ambulanze»

Nei reparti i letti sono nei corridoi: «Così evitiamo le schegge delle esplosioni»

Ospedale-trincea, dove i malati sono bersagli: «Sparano sulle ambulanze»
di Davide Arcuri
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Domenica 17 Aprile 2022, 07:27 - Ultimo aggiornamento: 17:24

«Vedi questo? È un missile Grad inesploso». Siamo nel cortile di un ospedale, sembra un campo di battaglia. Roman Kotszy è il direttore generale del principale ospedale di Sjevjerodonec'k, l'unico rimasto ancora in funzione. L'esercito russo è a pochi chilometri di distanza, si attende l'invasione da un giorno all'altro. Già all'inizio della guerra l'ospedale di Sjevjerodonec'k è stato obiettivo dei bombardamenti russi. Nel giardino intorno alla struttura crateri di bombe, missili, colpi di mortaio, non manca davvero nulla, nemmeno una trincea scavata preventivamente dall'esercito ucraino in vista di una possibile guerriglia.

Ambulanza crivellata

«Arriveranno anche qui - ci spiega Roman -, siamo nella periferia est della città, per entrare i russi dovranno passare dal nostro cortile».

Non è stata risparmiata nemmeno l'ambulanza, crivellata da un missile la settimana scorsa. «Siamo senza acqua e senza corrente da giorni, usiamo i generatori per tenere in vita i pazienti più gravi. Anche il gas non c'è ma per fortuna il freddo più duro è ormai un ricordo». Mentre concludiamo la visita esterna alla struttura il direttore ci confessa: «L'unica cosa che funziona è internet. Grazie ai satelliti di Elon Musk riusciamo ad avere una connessione stabile anche se la città è senza corrente, un bel vantaggio di questi tempi».

Lettighe ovunque

L'atrio all'ingresso è invaso da pacchi, l'apporto degli aiuti umanitari sta giocando un ruolo fondamentale: «L'ospedale è in funzione all'80%, ci sono persone colpite direttamente dai bombardamenti, rimaste incastrate sotto le macerie, altri hanno gravi ferite dovute alle schegge. Ieri avevamo 113 pazienti, dopo l'evacuazione oggi sono 60. Se sono gravi gli offriamo primo soccorso ma poi cerchiamo di mandarli verso ovest».

I reparti sono invasi da bacinelle per l'acqua, pronte per qualsiasi evenienza. Le lettighe sono tutte in mezzo alle corsie: in caso di bombardamento i vetri delle stanze esploderebbero rischiando di ferire nuovamente i pazienti. Anna è la caposala del reparto di chirurgia: «Manca la corrente ma non le medicine. Il magazzino è ben rifornito in questo momento». In corsia ci sono sia giovani feriti che anziani: «Le persone che restano qui non hanno altra scelta, non sopravviverebbero ad un lungo viaggio oppure decidono di loro iniziativa di rimanere: hanno famiglia o aspettano di riprendersi per tornare a combattere».

Irina è girata su un fianco, sembra non riuscire nemmeno a muoversi: «Stavo guardando la tv a casa di mia sorella quando è iniziato l'inferno. Non ricordo nulla, mi sono risvegliata qui». L'infermiera ci spiega che la donna ha subito gravi ferite dovute ai frammenti di mattoni che le sono volati addosso. Della sorella non ci sono notizie ma non abbiamo tempo per approfondire: «Ora andiamo, deve riposare».

Volo di dieci metri

Valery è arrivato un'ora fa in pronto soccorso: «Ero uscito di casa per andare a prendere del pane dai volontari, ho sentito l'esplosione e sono volato per dieci metri. Mi sono rotto due costole, le persone che erano in coda con me sono morte. La mia vita è cambiata per sempre». Si descrive come un miracolato Valery e poi ringrazia: «I soccorsi sono arrivati dopo pochi minuti, per gli altri non c'era più niente da fare». Halena il 26 marzo era anche lei in coda per ricevere degli aiuti umanitari: «L'onda d'urto mi ha fatto volare, una scheggia mi è entrata nella gamba e ho iniziato a sanguinare ovunque - cambia espressione mentre ricorda quei momenti di terrore -. Questa guerra è orrenda, colpiscono di proposito i posti dove ci sono più civili».

La ferita della donna è nascosta da un fitto bendaggio, non è ancora guarita, dovrà restare in degenza ancora diversi giorni con il rischio che nel frattempo i russi possano attaccare. Prima di andare via Halena ci confessa la sua preoccupazione: «Quando gli equipaggiamenti militari arrivano vicini agli ospedali non è un buon segno, anche gli ospedali diventano degli obiettivi e questo è semplicemente inaccettabile».

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