Libia, la mossa di Ankara: via libera all'invio di truppe

Libia, la mossa di Ankara: via libera all'invio di truppe
di Cristiana Mangani
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Venerdì 3 Gennaio 2020, 08:43 - Ultimo aggiornamento: 12:25

Con 325 voti a favore e 184 contrari la Grande assemblea nazionale della Turchia (parlamento monocamerale turco) ha approvato la mozione per inviare forze militari in Libia a sostegno del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli. Il parlamento di Ankara ha deciso di riunirsi in anticipo di cinque giorni rispetto alla data prefissata per la votazione. E la ragione sarebbe nell'escalation dell'attacco da parte dell'esercito del generale Khalifa Haftar, che ha intensificato l'offensiva contro gli uomini del presidente Fayez al Serraj. A questo si aggiunge la volontà da parte del governo turco di fare arrivare un messaggio chiaro al leader della Cirenaica che non necessariamente potrebbe voler dire l'annuncio di una guerra imminente, almeno per il momento. Più una sorta di pressione massima e una forma di deterrenza. Alla quale, comunque, il portavoce del generale avrebbe risposto dicendosi pronto alla sfida.

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LE STIME ONU
Qualora, poi, l'Lna, l'esercito di Haftar, decidesse di ritirare le truppe, Ankara è ancora pronta a non inviare i suoi militari a 2000 chilometri di distanza da casa, lanciandoli in un conflitto che, secondo le stime Onu, finora ha causato la morte di oltre 2000 combattenti e di 280 civili. Intanto, sul territorio sarebbero stati inviati 250 consiglieri militari. Qualcosa di molto diverso da quanto chiesto da Tripoli che si aspetta da 6 a 8 aerei da combattimento F-16, velivoli di allerta precoce, forze navali tra cui fregate e uno o due sottomarini, oltre allo spiegamento di 3.000 uomini. Erdogan ha comunque accennato alla disponibilità di spedire almeno 5.000 soldati regolari che potrebbero essere affiancati da 1.600 volontari-mercenari siriani arruolati tra i miliziani sunniti. La mozione approvata, ieri, varrà per almeno un anno. Anche se l'arrivo dei militari turchi potrebbe voler dire la reazione anche dell'Egitto e degli Emirati Arabi, da sempre a fianco di Haftar.

L'ok all'invio dei rinforzi per Serraj preoccupa molto l'Unione Europea e soprattutto l'Italia, che continua a spingere per l'invio di una missione diplomatica dell'Ue che è prevista per il 7 gennaio prossimo. Non resta insensibile alla decisione turca anche l'America, tanto che ieri Donald Trump ha telefonato a Erdogan per sottolineare quanto le «interferenze straniere rendano più complicata la soluzione del conflitto». Sulla vicenda è intervenuto Pierferdinando Casini, presidente del gruppo italiano dell'Unione interparlamentare. «Da tempo avevo sottolineato la necessità di iniziative più consistenti sullo scenario libico - ha scritto sul suo profilo Facebook - La sordità dell'Europa ha prodotto questo risultato, che rischia di ridurre drasticamente l'influenza italiana ed europea». Mentre Fratelli d'Italia e il Pd hanno sollecitato il ministro degli Esteri Di Maio affinché riferisca in Parlamento. Cosa che il capo della Farnesina intenderebbe fare dopo la missione europea a Tripoli e Bengasi.

Nei giorni scorsi era stato il premier Giuseppe Conte a telefonare a Erdogan per «scongiurarlo» di evitare la svolta militare. Subito dopo il voto di Ankara anche Bruxelles ha ribadito il suo appello a «cessare tutte le azioni militari e riprendere il dialogo politico», e messaggi allarmati sono arrivati dai Paesi confinanti Algeria ed Egitto e dalla Lega Araba, che si oppone a ogni ingerenza straniera nel Paese. Il capo di stato turco, che ha sottolineato di muoversi dopo avere ricevuto una esplicita richiesta di aiuto da parte del governo di al Serraj, ha ripetutamente dichiarato che il suo paese è determinato a fornire assistenza militare a Tripoli.

L'IMPEGNO
Ora bisognerà vedere che forma assumerà questo sostegno e se Ankara invierà effettivamente o meno truppe in una regione che ha fatto parte dell'impero Ottomano fino alla conquista coloniale italiana del 1911. Tutte queste forze richiedono un serio sostegno, ed è quello che Erdogan cercava in Tunisia e Algeria. L'unica chiave di lettura sulle reali intenzioni l'ha data finora il vicepresidente turco Fuat Oktay, secondo il quale il voto del parlamento rappresenta soprattutto «uno strumento di dissuasione» e che se Haftar cambiasse atteggiamento e si ritirasse dall'offensiva, allora Ankara non avrebbe ragione di mandare i propri soldati. Non sono apparse tuttavia concilianti le prime reazioni delle forze di Haftar che si sono dichiarate «pronte a combattere» contro i turchi. E hanno intanto annunciato di avere abbattuto un altro drone turco vicino a Tripoli.
 
 

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